Il Cancro è Vinto: Introduzione

Di Marino Mariani

Una visione della Cina rurale

Una visione della Cina rurale

Edison affermò che neanche in un milione di anni l’uomo avrebbe potuto volare con un mezzo più pesante dell’aria, vale a dire con un aeroplano invece che in una mongolfiera, ma bastò che la macchina dei fratelli Wright si staccasse dal suolo per pochi secondi per cambiare istantaneamente tutta la prospettiva mondiale, e l’aeroplano, più che l’automobile, divenne il mezzo di locomozione in più rapida crescita ed espansione. Parimenti, il libro dei dottori Campbell padre e figlio, l’ormai famoso “The China Study”, si è staccato dal suolo, dimostrando che non è necessario attendere il prossimo milione d’anni per debellare la famigerata alimentazione animale e ripristinare la primigenia alimentazione completamente vegetale. Ciò basta ed avanza per ricacciare indietro l’incubo del cancro e della sua banda di cosiddette “malattie del benessere”.

Regalate questo libro al vostro medico di famiglia

Regalate questo libro al vostro medico di famiglia

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All’inizio degli anni 60, ripresi contatto con un vecchio compagno di ginnasio, di cui tutti avevamo perso le tracce, visto che aveva cambiato scuola. Si trattava di Giovanni Angeli che, nel suo ambiente di lavoro, veniva abitualmente chiamato Vanni. Il suo ambiente di lavoro era il quotidiano romano “Il Tempo”, in cui ricopriva la carica di Redattore Capo, equivalente, si può dire, a quella di Direttore poiché, sopra di sé non aveva altri che il fondatore e proprietario del giornale, col quale andava d’amore e d’accordo. Gli spiegai di che tipo d’aiuto avevo bisogno, e lui mi accontentò immediatamente. Ma non mi mollò: saputo che m’interessavo di nuove tecniche dell’apprendimento ed ero esperto di elettronica, di fotografia e dell’emergente filone della videoregistrazione e delle videocassette, voleva assolutamente che diventassi un giornalista professionista. In realtà, io già scrivevo articoli per un mensile specializzato, ma non avevo nessuna intenzione di diventare giornalista, e comunque non fui contrario ad aderire ai suoi inviti. Voleva che lo scortassi in determinate occasioni, come mostre, dibattiti, tavole rotonde…e che prendessi la parola in modo da farmi conoscere. Dopo che io avevo parlato, era lui che chiudeva la riunione e, qualsiasi fossero stati gli argomenti in programma, come, per esempio, una nuova carta autocopiante o vantaggi e svantaggi nel passaggio dalla composizione tipografica alla fotocomposizione, concludeva sempre con l’esaltazione della funzione della stampa quotidiana, e vaticinava il giorno in cui i giornali di tutto il mondo sarebbero usciti con lo stesso titolo su nove colonne: “Il cancro è vinto”. È passato più di mezzo secolo da quelle giornate, e quel titolo non è stato stampato da nessun quotidiano. Per cui, caro Vanni, dall’alto dei cieli sappi che, in tuo onore, quel titolo lo stampiamo noi. Amici miei: “IL CANCRO È VINTO”. È stata dunque trovata la pillola, il siero, il filtro magico che guarisce questo terribile morbo e tutte quelle malattie che lo accompagnano, che si moltiplicano giorno per giorno, note come i “mali del progresso”? Se questo è quello che il mondo si aspettava, la risposta è no e sarà sempre negativa, perché il cancro non è un attacco contro l’umanità sferrato da parte di un pianeta lontano ed ostile, ma la reazione ad un’azione umana pervicace, sistematica e, in definitiva, autodistruttiva: quella di includere nella propria alimentazione sostanze di origine animale, invece che esclusivamente vegetali. Perché l’uomo dovrebbe limitarsi al mondo della Flora senza potersi permettere incursioni nel mondo della Fauna? La prima volta che affrontai quest’argomento fu in data lunedì 22 novembre 2010, nell’articolo intitolato “I Fondamenti della Nutrizione Umana: 1a parte”, e, volendo sembrare spiritoso, iniziai così: “Non so come abbiano fatto, ma gli scienziati hanno determinato che, originariamente, l’uomo era un roditore arboricolo, cioè che viveva sui rami degli alberi, ed una volta detto questo ognuno può indovinare che il suo nutrimento doveva consistere in noci, frutta e, forse, germogli e ramoscelli…”. Però, quando lunedì 31 gennaio 2011 pubblicai la 2a parte di quella serie di articoli, divenni improvvisamente più furbo ed esordii così: “Nella precedente puntata di questa serie, per darle un certo inizio spiritoso, ho scritto: ‘Non so come abbiano fatto, ma gli scienziati hanno determinato che, originariamente, l’uomo era un roditore arboricolo, cioè che viveva sui rami degli alberi, ed una volta detto questo ognuno può indovinare che il suo nutrimento doveva consistere in noci, frutti e, forse, germogli e ramoscelli. Attraverso chissà quante successive trasformazioni, l’uomo è arrivato ad essere quello che, oggi, tutti noi siamo: un animale che, grazie alle sue invenzioni, oggi viene definito omnivoro, che può mangiare tutto” Possibile che sia stato io a scrivere simili infamità…seppur esatte?…Ebbene, proviamo a riprendere il racconto cambiando il punto di vista prospettico, e cercando di non scambiare le cause con gli effetti. Abbandoniamo quindi l’osservazione dell’uomo che zompetta di ramo in ramo, e domandiamoci che tipo di alimentazione fosse più adatto ad un essere privo di artigli e munito di una dentatura incapace di azzannare e dilaniare la preda. L’essere umano, incapace di misurarsi con gli altri animali muniti di zanne ed artigli, non può essere carnivoro, ma solo vegetariano. E tra i vegetariani sappiano che non è mai stato erbivoro come le mucche, le pecore e le zebre, e quindi, non essendo costretto a brucare nelle radure, è naturale trovarlo annidato sugli alberi, a sfruttarne le risorse alimentari copiosamente offerte dalle frutta, ricche di vitamine e sali minerali, e dalle noci, ricche di acidi grassi essenziali e di calorie. Che non sia mai stato erbivoro è provato dal suo stomaco con duodeno, ben diverso dal triplice stomaco degli erbivori ruminanti. Che non sia stato origi-

L'aurora che ha dita di rosa (Marco Graziano)

La dea rododigita di Omero: l’aurora che ha dita di rosa (Marco Graziano)

nariamente carnivoro è fuori discussione, ma può esserlo diventato in seguito, avendo scoperto il fuoco ed inventato le armi? Ebbene, nella puntata precedente ho introdotto il concetto di malleabilità epigenetica, come complesso di certe variazioni che vengono riscontrate dopo tempi piuttosto lunghi quando l’organismo in questione adotta certe nuove abitudini non presenti nel patrimonio ereditario primordiale. È un concetto che assomiglia all’epigenesi intesa come ereditarietà dei caratteri acquisiti, e può far credere che l’uomo, avendo imparato a nutrirsi, oltre che di prodotti vegetali, anche di prodotti animali come carne, pesce e latticini, ed essendogli stato insegnato a scuola di essere omnivoro, abbia veramente acquisito, almeno in parte, i caratteri distintivi degli animali carnivori: errore! Oltre a non essergli cresciute zanne e artigli, anzi gli si sono accorciati i denti canini che originariamente aveva e tutto il corpo gli si è ingentilito (ma ciò è dovuto all’adozione di macchine che lo sollevano dalle fatiche iniziali), rimane il fatto che la lunghezza del suo intestino è pari a 12 volte il tronco, mentre l’intestino dei carnivori non supera la lunghezza di tre volte il tronco. Proporzionalmente l’intestino umano è quattro volte più lungo di quello degli animali carnivori, il che conferma che la carne ed i prodotti animali non sono adatti alla digestione umana, perché cominciano ad imputridire prima di poter essere espulsi. D’altra parte anche i bovini allevati oggi sono trattati come se fossero omnivori, visto che gli si fanno ingerire cemento, cartongesso e cose ancora peggiori (Jeremy Rifkin: “Ecocidio”, Mondadori), per non parlare delle farine ossee ed i cocktail al sangue che causano l’ encefalopatia spongiforme (mucca pazza). Avete visto che, considerate le caratteristiche dell’essere umano all’atto della sua costituzione, è stato facile, per semplice deduzione, attribuirgli la qualifica di roditore arboricolo, senza bisogno di lunghe e faticose ricerche. Ma l’uomo non sarebbe diventato uomo se non avesse imparato a discendere dagli alberi e ad accendere focolai. Con la cottura la lista delle portate a sua disposizione crebbe a dismisura: cereali (grano, orzo, avena…), leguminose (fagioli, ceci, lenticchie), cassava (manioca e tapioca), ed infine i prodotti della caccia e dell’allevamento. I quali ultimi, in questi ultimi tempi, per interesse e avidità, stanno prevalendo nell’alimentazione umana, senza che nel corso dei millenni l’uomo abbia modificato la sua struttura di un solo millimetro nel verso dell’acquisizione delle caratteristiche peculiari dell’animale carnivoro. Ilya Metchnikoff (premio Nobel 1908 in Fisiologia e Medicina) affermava che: “È la putrefazione alimentare la responsabile delle morti premature, che è causa di tutte le malattie, perché questi veleni, altamente pericolosi, passano dal canale alimentare nella linfa e nel sangue, e da questi sono condotti in tutte le parti del corpo: il fegato, i polmoni, i reni, il cuore e il cervello”. Da quando mi occupo di questi argomenti, ho sempre propugnato la corretta alimentazione come foriera della buona salute, senza tuttavia compiere alcun tentativo di associare l’alimentazione ad alcuna delle malattie più comuni, ma, segnatamente, a quelle, capeggiate dal cancro, dette “malattie del progresso e del benessere”, che oltre al cancro, che è la malattia che mette più paura, comprende le cardiopatie, i vari tipi di diabete, la sclerosi multipla, l’osteoporosi…A dire la verità questi mali, quando io sono nato (1929), si può dire che neanche esistessero. Noi, i bimbi d’Italia, che nell’inno di Mameli “si chiaman Balilla”, eravamo mobilitati in ben altre campagne: facevamo volentieri a meno dei bastoncini di liquerizia, del cartoccetto di olive dolci e delle fette di castagnaccio, tutte ghiottonerie vendute per la strada, per acquistare e scambiare tra noi i francobolli e i chiudilettere della Campagna Nazionale contro la Tubercolosi. Contemporaneamente, decine di migliaia di contadini dell’Alta Italia, in massima parte veneti, scesero nei dintorni di Roma per bonificare le Paludi Pontine, tanto per donare alla Patria altri ettari di campi coltivabili, quanto per combattere l’incubo della malaria, la malattia trasmessa dalle zanzare proliferanti nelle acque stagnanti dei terreni acquitrinosi. A quei tempi “cancro” era una parola molto rara, comunque sempre riferita al parallelo geografico denominato Tropico del Cancro che faceva il paio col Tropico del Capricorno, mentre al cancro inteso come malattia si accennava vagamente come “male incurabile”. La parola “osteoporosi”, la malattia che rende friabili le ossa, forse non era stata ancora coniata, e non si trovava sui vocabolari. Il consumo di carne era sporadico, e per noi bambini era angoscioso: masticavamo e masticavamo il boccone coriaceo e aspettavamo che i nostri genitori volgessero lo sguardo altrove per levarcelo dalla bocca e nasconderlo in tasca. A quel tempo l’uomo varcava a quarant’anni il limite tra la maturità e la vecchiaia, mentre i bambini di allora muoiono adesso sull’orlo dei cent’anni. In realtà l’austerità e la scarsità alimentare di allora erano la forza della nostra generazione. Come i principini e le principessine della casa regnante, io e tutti i mie coetanei nascevamo in casa nostra, nel letto dei nostri genitori. Venivamo alla luce di parto naturale, venivamo allattati dalla mamma e venivamo svezzati col pancotto allo spicchio d’aglio. Questo regime spartano costituiva il nostro allenamento per affrontare le difficoltà della vita che si materializzavano nella fatale mortalità infantile.

La rugiada

La rugiada (artificiale?)

tMa proprio in quel periodo, cioè a partire dalla fine della prima guerra mondiale (1914-1918) l’espandersi dell’attività industriale portò nelle case, nelle strade, nelle scuole e nelle fabbriche quei miglioramenti che consentirono il sensibile allungamento della durata della vita. Quand’ero piccolo, mia madre mi faceva indossare, sotto la camicia, due maglioni di lana a maniche lunghe, ma ciononostante avevo sempre i geloni alle dita ed il naso colante, ma poi l’acqua calda dello scaldabagno ed il tepore del termosifone consentirono l’alleggerimento  dell’abbigliamento. Io, poi, a vent’anni conobbi la ragazza svizzera che divenne mia moglie, che non portava alcuna sorta di maglietta, e sul suo esempio abolii quel capo di abbigliamento, ed imparai anche a dormire con la finestra socchiusa, e da quel momento, e per tutti i sessant’anni successivi, non ho avuto più nessun malore, malanno, malessere o malattia, nessun mal di testa, raffreddore o nausea, talché, dopo le malattie infantili, non ho mai più preso una medicina. Non credo di essere l’unico al mondo a godere di questo felice stato di salute, ma credo che siamo in  pochi a potercene vantare. Ebbene, questa mia improvvisa ed inaspettata conquista, che faceva di me un essere praticamente immune ad ogni malattia, indubbiamente ebbe origine da un esplosione vulcanica.  Dall’esplosione di gioia, di felicità, di beatitudine e di appagamento causata dalla mia unione con una donna superiore, alla quale tutto devo. Questo evento mi amplificava, mi rendeva raggiante e radioso. Allo scadere dei primi trent’anni di questa ”vita nova”, e cioè quando compivo cinquant’anni, ero giovanile, disteso ed entusiasta. Sistematicamente mi si attribuivano vent’anni di meno. Il 28 aprile 1980, il giorno in cui compivo cinquantun anni, invitai tutti, conoscenti e sconosciuti, al bar vicino all’ufficio, ed offrii da bere a volontà. Fui attorniato da gente che mi chiese quale compleanno compissi, e risposi: “51”. Fui accolto da una risata generale, e tutti vollero sapere quale fossero la mia “vera” età, e siccome seguitavo a rispondere 51, qualcuno rimase stizzito, posò il bicchiere e mi voltò le spalle. Quel giorno cominciava il mio secondo trentennio di felicità in terra, e volli approfittarne per liberarmi da un problema che aveva cominciato ad assillarmi: liberarmi dal vizio del fumo. Siccome fumavo senza aspirare, qualcuno mi assicurava che non dovevo neanche considerarmi un fumatore. Ma in qualità di “fumatore regolamentare”, e cioè sprofondato in poltrona, leggendo il giornale e col bicchiere di whiskey a portata di mano, io di sigarette ne potevo fumare tre o quattro, visto che non potevo permettermi una pausa ricreativa più lunga. Ed allora, come potevo arrivare, nel corso della giornata, a fumarne sessanta, cioè il contenuto di tre pacchetti? È come se tutte quelle sigarette si fumassero da sole, a mia insaputa. E così era. Con l’aiuto dei miei collaboratori stabilii che accendevo una sigaretta ogni volta che squillava il telefono, ogni volta che interrogavo un mio collaboratore, ogni volta che iniziavamo la discussione di un progetto, ogni volta che cominciavo a scrivere i miei articoli, ogni volta che qualcuno bussava alla porta della mia stanza, ogni volta che qualcuno mi rivolgeva la parola e prima che cominciassi a rispondere. Se volevo scomporre la mia attività giornaliera nella somma di tanti atti elementari, ognuno di questi atti elementari era preceduto dall’accensione di una sigaretta. E pensare che io neanche mi accorgevo di fumare! Ebbene, passai tre o quattr’anni a lottare invano contro quei tre “pacchetti fantasma” quotidiani finché non capii che il mio subconscio mi aizzava in una falsa lotta per la riduzione dei quantitativi, per paura che io smettessi del tutto di fumare. Capito l’inganno, decisi di smettere quella stupida lotta e di abbandonare il campo. Con qualche settimana di preparazione psicologica, un bel giorno di fine estate contai le sigarette avanzate, decisi di fumarmele in santa pace, e poi basta. E poi bastò! Quasi non mi accorsi del passo che avevo compiuto, ma anche questa volta fui travolto da ondate di felicità: mi sembrava di essere diventato onnipotente. Decisi all’istante di smettere di mandare vaglia al “wwf” e ad altre associazioni animaliste, ma, in compenso, di adottare un’alimentazione completamente vegetale. E quindi immediato addio non solo a carne, pesce e uova, ma anche a quei tazzoni di latte fresco di frigorifero che mi inebriavano come champagne. Come capita a molti, divenni vegetariano per pietà verso gli animali, ma presto mi accorsi che la qualifica di vegetariano come l’intendevo io era diversa da  come l’intendeva il resto del mondo. Recandomi una volta a Londra partendo dall’aeroporto di Zurigo, pur avendo specificato all’agenzia viaggi che ero vegetariano, mi vidi servire un pranzo a base di gamberetti, formaggini e dolcetti sia all’andata, sia al ritorno: Quando ebbi l’occasione di segnalare il fatto all’agenzia, mi spiegarono che per loro e per il resto del mondo vegetariano è colui che mangia latte e latticini, uova e pesce, e che solo si astiene dalla “carne” propriamente detta. Se volevo intendere colui che non mangia nessun prodotto di origine animale, dovevo utilizzare il termine “vegan”. Sono scoppiato a ridere: sono stato più volte a Las Vegas, e non capivo perché i vegetariani assoluti dovessero chiamarsi come i cittadini di quella città. Adesso però non rido più, e credo che il termine di “vegan” (o “vegano”) sia assolutamente necessario per indicare chi adotta un’alimentazione puramente vegetale, mentre il cosiddetto “vegetariano” ben poco si discosta dal comune mangiatore onnivoro. Ma avviciniamoci all’epicentro di quest’articolo: nel 1992 acquistai in una libreria di Zurigo il libro, appena uscito: “Das Imperium der Rinder” (L’impero dei vitelli), edizione tedesca del libro di Jeremy Rifkin: “Beyond

New Orleans sette anni dopo l'uragano Katrina

New Orleans sette anni dopo l’uragano Katrina

Beef”. Dopo averne letto le primissime pagine, atterrito dalla descrizione del trattamento infernale cui venivano sottoposti gli animali degli allevamenti intensivi, chiusi il libro e lo riposi in un cassetto, in cui rimase rinchiuso per i 17 anni successivi, fin quando non lo ripresi e lessi per intero, spinto da eventi concomitanti. Oltre alla crudeltà umana, il libro fa un bilancio straordinariamente preciso dei danni irreparabili provocati dagli oceanici allevamenti di animali da macello al clima del nostro pianeta. In che senso, direte? La Terra riceve la sua energia cosmica dal Sole sotto forma di radiazione elettromagnetica di cui la parte più cospicua è costituita dalla luce visibile. Ebbene, queste ondate di luce solare si abbattono sulla Terra, ma prima di toccarne il suolo, devono bucare una sfera posta ai limiti superiori della stratosfera, detta sfera dei gas serra. Giunti a terra, i raggi solari vengono in parte assorbiti per compiere il loro compito più importante, quello di effettuare la fotosintesi, che è, nientedimeno, che un atto fondamentale di creazione della materia organica. Per effetto della fotosintesi sei molecole di anidride carbonica  e sei molecole d’acqua si combinano tra loro per formare una molecola di glucosio. Compiuto questo ed altri processi, il fascio di radiazione solare ha perso energia e, sotto forma di radiazione  infrarossa viene riflessa dalla Terra e rispedita nel cosmo. Ma come all’andata il fascio d’energia solare aveva dovuto attraversare la sfera dei gas serra, così, al ritorno, la radiazione infrarossa riflessa dalla Terra incontra di nuovo tale superficie, ed essendo energeticamente più debole dell’onda entrante, non riesce a bucarla integralmente: in parte rimane imprigionata nell’atmosfera del nostro pianeta, e ne causa il riscaldamento. Questo processo non è in sé di carattere negativo: se i gas serra non esistessero e non formassero questa coltre protettiva, se tutta l’energia solare fosse integralmente riflessa e dispersa nel cosmo, secondo gli studiosi la Terra avrebbe una temperatura media di circa -18 °C, impedendo all’acqua di sussistere allo stato liquido. Per lunghe ere geologiche i gas serra si riducevano all’anidride carbonica prodotta dalla traspirazione delle piante, dall’eruzione dei vulcani e da casuali combustioni, nonché dal  vapore acqueo, e si stabilì uno stato d’equilibrio in cui la temperatura media terrestre si mantenne attorno ai 14 °C, ideale per l’insorgere e per lo sviluppo di Flora e Fauna.  In epoche più recenti questo equilibrio si è infranto: alle emissioni naturali che determinavano la composizione e la densità dei gas serra si sono aggiunti prima i fumi industriali, e poi, quasi all’improvviso, l’incontrollata, abnorme, delirante, ossessiva, maniacale crescita degli allevamenti zootecnici e di tutti gli stabilimenti necessari per l’industrializzazione dei loro prodotti. Il contributo zootecnico non si riduce al massiccio ammontare della produzione di anidride carbonica, ma introduce la terrificante produzione di metano e di ossidi d’azoto, infinitamente più temibili dell’anidride carbonica. Zootecnia significa produzione di carne, latte e latticini, uova. Ed anche il pesce si aggiunge alla lista dei prodotti della zootecnica, essendosi praticamente estinto il pesce selvatico per opera delle migliaia di chilometri di reti a strascico e della contaminazione del mercurio. L’addensarsi della coltre dei gas serra, l’opacizzazione della sfera di protezione, fa aumentare a dismisura la quantità dei raggi infrarossi intrappolati nell’atmosfera terrestre, con conseguente aumento della temperatura della Terra. Così carica di energia, l’atmosfera terrestre tende ad essere instabile e a scaricarsi in uragani e diluvi improvvisi e violenti come la stizza di un gigante iracondo, permaloso e vendicativo. Il suolo, percolato, liscivato, deforestificato e depauperato del multimillennario strato di humus, non assorbe più l’acqua e la lascia montare, gonfiarsi, straripare e tutto abbattere e travolgere. L’uragano Katrina che imperversò principalmente sulla città di New Orleans dal 23 al 30 agosto 2005, scatenò venti a 280 km/h sostenuti per la durata di oltre un minuto, causando 1.831 morti e danni per oltre 100 miliardi di dollari, facendo saltare tutti gli argini, sbarramenti e protezioni predisposte a difesa della città. Sette anni dopo New Orleans mostrava quasi intatti i segni della devastazione, come se nessuno sforzo di recupero, ripristino e ricostruzione fosse stato intrapreso, o quantomeno deliberato. Il fenomeno di Katrina è stato tutt’altro che un evento isolato, anzi è servito come prova generale per una vera e propria stagione lirica permanente di disastri naturali il cui cartellone sembra vergato dalla mano di Rifkin. Quanto all’Italia, il Paese in cui sono nato e dove attualmente risiedo, nonostante la mia cittadinanza svizzera del Cantone e della città di Zurigo, ricordo le inondazioni del Polesine all’inizio degli anni 50, il disastro del Vajont del 1963, l’alluvione di Firenze del novembre del 1966, ma senza volerli declassare, mi sembra che fossero episodi isolati e non sistematici,

Il cosmo in una goccia di pioggia

Il cosmo in una goccia di pioggia

imputabili alla proverbiale cattiva sistemazione idrogeologica della Penisola. Ma da tempo in qua più non si sente la poesiola che tanto ci esilarava quando la recitava la nostra maestra d’asilo: “Che dice la pioggerellina / di marzo, che picchia argentina /sui tegoli vecchi / del tetto, sui bruscoli secchi / dell’orto, sul fico e sul moro / ornati di gèmmule d’oro?” Oppure quando, più grandicelli, studiavamo “La quiete dopo la tempesta”: “Passata è la tempesta: / odo augelli far festa, e la gallina, / tornata in sulla via, / che ripete il suo verso. Ecco il sereno / rompe là da ponente, alla montagna; / Sgombrasi la campagna, / e chiaro nella valle il fiume appare. / Ogni cor si rallegra…”.Questi fenomeni leggeri e leggiadri lasciavano dietro di sé uno scenario scintillante di gocciole rilucenti sulle foglie e sui rami degli alberi, sull’erba dei prati, ed i raggi del sole suscitavano da questi gioielli sparsi a piene mani piccoli arcobaleni. Dalla terra e dalle vegetazioni s’alzava una nebbiolina di vapori cangianti, che rendevano l’aria frizzante ed effervescente, ricca di tutti gli aromi dei fiori, grata come una sorsata d’acqua di fonte. Chi di noi, bambini di cità, ha passato qualche anno della sua infanzia in paese, nelle notti di primavera e d’estate apriva gli occhi al primo chiarore dell’alba e sentiva l’impulso irresistibile a balzare dal letto, vestirsi frettolosamente, scavalcare la finestra della cucina ed infilarsi sul sentiero che porta alla macchia e costeggia il valloncello. Lì appostarsi e spiare l’arcana fanciulla, la Dea rododigita, l’Aurora mattiniera che ha dita di rosa, che dissipa le ombre e spande il chiarore, che apre le corolle dei fiori, che filtra la luce per mille e mille prismi e suscita nell’aere iridescenza…Ma l’arcadia della nostra gioventù è un sogno sepolto nell’oblio. Oggi i teleschermi ci portano l’immagine dei campi sommersi e della gente sui tetti, il fianco di una collina scivolato in basso portandosi appresso case, strade, tratti di ferrovia…Nelle città le strade trasformate in torrenti impetuosi, automobili trascinate dall’acqua come cataste di legna e tronchi d’albero trasportati dai fiumi, come i branchi di tori aizzati per i vicoli di Pamplona alla festa di San Firmino. Al cospetto di questa serie crescente di lugubri notizie, la parola d’ordine è quella di tranquillizzare e banalizzare, negare il progressivo riscaldamento della temperatura terrestre, incolpare principalmente l’industrializzazione e processare le amministrazioni locali. Costruire edifici addirittura sul letto dei fiumi? Colpevole follia, ma quei fiumi erano estinti e prosciugati da mezzo millennio. A seguito di una recente ondata di piena del Tevere che ha provocato infiltrazioni in edifici prossimi agli argini, il blogger di un quotidiano ha tuonato: “Individuare chi ha dato la licenza di costruire vicino agli argini!”. Giusto, giustissimo, sacrosanto, snidare quell’assessore ai lavori pubblici che ha dato quella licenza ai tempi di Anco Marzio o di Numa Pompilio. Comunque, sia i mezzi d’informazione, sia il grosso pubblico ignorano completamente la zootecnia, l’allevamento ed il macello di miliardi annui di animali. Perché? La prima spiegazione è immediata ed intuitiva: i nuovi mezzi di comunicazione, vale a dire il computer ed internet, hanno completamente esautorato i giornali stampati e distribuiti nelle edicole. Al tempo mio l’aspetto di un quotidiano era essenzialmente tipografico, vale a dire righe e righe di piombo, poche, pochissime illustrazioni e qualche tassello pubblicitario. I giornali vivevano sul numero delle copie vendute, sulla tempestività delle informazioni e sull’autorevolezza degli editoriali e delle critiche. Con il crollo delle vendite, per sopravvivere, sia pure a scartamento ridotto, le testate hanno come unica risorsa la pubblicità, ed infatti, se al bar, o dal barbiere, o in una sala d’aspetto, sfogliate un quotidiano, vedrete che predominano le pagine intere di pubblicità a colori. Ma la pubblicità non si limita ai suoi aspetti espliciti, ma si annida, sotto forma di pubblicità redazionale, negli articoli dei giornalisti stessi che, col pretesto di dare un’informazione, tessono gli elogi dei loro patroni, e non capiterà mai che un giornalista non solo metta sotto stato d’accusa, ma getti la minima ombra di sospetto, su una grossa ditta di generi alimentari, di dolciumi o di medicinali. Non solo, ma sia sulla stampa, ma anche in televisione, i giornalisti più solerti minimizzano o irridono al fenomeno del riscaldamento del nostro pianeta: sorvolano sulle cause e ne negano gli effetti. Peggio vanno le cose al livello degli stati, dei governi, dei ministeri, delle università, delle grosse istituzioni sanitarie, dei centri di ricerca e dei partiti politici. Conosco meglio la situazione in USA, che d’altr’onde è più determinante per i destini del mondo, in virtù dei libri di Marion Nestle (pronuncia nes(e)l, nessuna attinenza con la multinazionale Nestlé) nutrizionista accademica che per decenni ha ricoperto i più importanti incarichi governativi e universitari. Dalle pagine della Nestle, assistiamo alla genesi della corruzione degli studenti di medicina da parte dell’industria farmaceutica: gli studenti meritevoli, nell’imminenza di un grosso congresso internazionale (da inserire nel proprio curriculum) si vedono recapitare un plico, contenente dépliant, anteprime, profili professionali, notabilia e mirabilia del luogo e dei suoi dintorni, pubblicità di locali tipici, possibilità di escursioni…ma soprattutto blocchetti di biglietti per ogni tipo di mezzi di trasporto (aereo, ferrovia, autolinee), di prenotazioni d’albergo, di biglietti d’ingresso alle varie conferenze. Si può avere l’orgoglio di rifiutare questo eldorado di regalie, nel qual caso è inutile recarsi in loco con mezzi propri: non troverete una stanza libera in nessun albergo o pensione.

L'America si appresta ad affrontare la grande depressione al ritmo del Charleston

L’America si appresta ad affrontare la grande depressione al ritmo del Charleston

Quand’anche riusciste a trovare un alloggio, i biglietti d’accesso e partecipazioni alle varie conferenze, corsi d’aggiornamento e dibattiti sono tutti esauriti, quindi…In USA i partiti politici sono esclusi da qualsiasi finanziamento governativo, ma sono autorizzati, addirittura facilitati, a procurarseli con qualunque mezzo. Talché le lobby, cioè i gruppi di pressione sulle istituzioni politiche e legislative, nonché essere smascherate e perseguite, sono riconosciute e rispettate, purché legalmente costituite. I grossi consorzi industriali farmaceutici e agroalimentari, che io sarei tentato di chiamarli “la mala”, finanziano indistintamente ed in parti uguali, entrambi i partiti politici, non essendo interessati al fatto che i democratici prevalgano sui repubblicani e viceversa, quanto al fatto che gli eletti al Senato e al Congresso, ed in tutti i centri di potere locali, si rendano conto che la politica in USA non si fa senza i loro quattrini, e nessuno degli eletti osa sostenere disegni di legge che ledano gli interessi dei loro finanziatori. Questo è lo stato vigente in USA, per cui l’USDA (Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti) e le altre agenzie governative in campo agroalimentare e sanitario non riescono a pubblicare opuscoli orientativi, tabelle e piramidi alimentari, ed emanare direttive in cui un singolo vocabolo, una virgola ed un punto e a capo possano lontanamente adombrare la minima riserva nei confronti di qualsiasi componente della mala cui, negli ultimi anni, si sono aggiunte le industrie chimiche che propongono (ed impongono) gli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati, prodotti che in nessun altro pianeta del cosmo sarebbero presi sul serio, visto che i loro capi si guardano bene da apparire nei mezzi di comunicazione, attorniati dai propri dipendenti, a banchettare con le loro leccornìe (geneticamente modificate). Anzi, tendono a mimetizzarsi e a non assumere un ruolo distinto dalla più piatta normalità. Marion Nestle afferma che i mezzi a disposizione delle agenzie governative sono assolutamente irrisori rispetto alla disponibilità finanziaria, della mala. Ma non deve essere stato sempre così, ed il punto di svolta è chiaramente individuabile nel fatale giovedì nero, giorno 24 ottobre 1929, reiterato fino al giovedì nero, giorno 29 ottobre, giorni in cui si compì il crollo della borsa valori di New York ed iniziò il lungo periodo della grande depressione: il paese più ricco del mondo ridotto alla miseria, all’accattonaggio, al suicidio. Ed arriviamo al 1933, anno delle elezioni presidenziali in USA e, in Italia, celebrazione del decennale di Mussolini al potere. Il Duce decise di celebrare la data nella più popolosa città italiana nel mondo: New York. A luglio parte da Orbetello la “Centuria Alata” di Italo Balbo: una formazione di 24 idrovolanti Savoia Marchetti S55-X diretta verso Chicago, la città in festa per l’Esposizione Universale di quell’anno, in cui il loro arrivo suscitò l’elettrizzante accoglienza da parte di tutta la città e un empito d’orgoglio e di riscatto da parte dei lavoratori italiani, relegati insieme agli ebrei e ai negri ai più bassi livelli della scala sociale, e che da soli avevano riedificato la città (dopo l’incendio) perché gli stessi negri non resistevano, sulle impalcature, ai gelidi spifferi provenienti dal lago Michigan. Dopodiché lo squadrone di Balbo fu dirottato su New York dove l’accoglienza fu…delirante. Gli aviatori furono obbligati a protrarre la sosta prevista, e fu loro richiesto di sorvolare ripetutamente la città a volo radente, sfiorando le cime dei grattaceli. Gli italiani erano in tripudio, vestivano la camicia nera ed agitavano le bandiere, Migliaia e migliaia di giovani indossavano la divisa d’avanguardista o di giovane italiana. Gli americani erano ancor più eccitati: Balbo fu invitato a pronunciare discorsi, ad inaugurare targhe e monumenti, ad assistere a sfilate e dimostrazioni, e gli fu dedicata una parata nella 5a Avenue di tale grandiosità da non avere precedenti nella storia americana. Ignorando che il requisito indispensabile era quello di essere nativo americano, tutti asserivano che, se fosse rimasto in USA, sarebbe stato eletto presidente. Ed a proposto di presidenza, a marzo era stato eletto Franklin Delano Roosevelt, il cui programma di risanamento dell’economia e della finanza americane venne chiamato “New Deal”, ed era largamente modellato sulla struttura corporativa instaurata in Italia dal nuovo regime, e che si può sintetizzare in questi due nomi: Previdenza Sociale e Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Roosevelt era il candidato di Mussolini, e la sua campagna elettorale fu finanziata interamente da Amedeo Giannini, fondatore e presidente della Bank of America. Mussolini aveva altri assi in mano: spedì nel porto di New York il transatlantico Rex, conquistatore del Nastro Azzurro, il primato di velocità nella traversata Europa-Usa ed il gigante Primo Carnera, campione del mondo dei pesi massimi. Ma, accanto al festival aeronautico di Balbo, Mussolini aveva in mano un vero e proprio asso di picche da inviare in America: la sua ambasciatrice privata Margherita Sarfatti, gentildonna veneziana di rara e profonda cultura letteraria e artistica, scrittrice, giornalista e mecenate. Fu amante di Mussolini, lo ingentilì, ne allargò gli orizzonti, l’introdusse nelle alte sfere. Per lui scrisse materialmente, in inglese, gli articoli commissionati al Duce dal New York Herald Tribune (pagati un occhio della testa). Non fu una “segretaria”, ma un vero e proprio architetto del nascente

Capitalismo e depressione: pausa pranzo al 65° piano del Rockefeller Centre in costruzione

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regime. In America fu accolta con la più alta considerazione e disputata da tutti i salotti letterari, dalle massime università, da ogni centro di cultura politica, letteraria ed artistica per non parlare delle interviste e del continuo assedio dei giornalisti e fotoreporter. Dal punto di vista diplomatico, le fu riservato il rango di consorte del Duce, ed alla Casa Bianca fu personalmente accolta dal Presidente e dalla signora Eleanor ed ufficialmente intrattenuta con tutti gli onori, la deferenza e la signorile affabilità riservate al rango di Regina d’Italia. In quell’atmosfera di tripudio italo-americano, i giornali proclamavano: “Roosevelt and Mussolini must be brothers!” Ma cari lettori, dal momento del crollo di Wall Street, ed il risanamento iniziato col New Deal corporativistico di Roosevelt erano passati almeno quattro anni di carestia, di assoluta povertà ed una disoccupazione che aveva varcato la soglia del 20%, ed in questo frattempo si era consumata forse la più grande tragedia dei nostri tempi: milioni e milioni di contadini e di piccoli proprietari agricoli americani furono brutalmente sradicati dalle proprie terre, che passarono nelle mani delle banche, dei consorzi industriali e dei giganteschi monopoli. Talché i successivi interlocutori delle agenzie governative non furono più i coltivatori, bensì multinazionali dai temibili nomi di Union Carbide, Monsanto…(Fine della 1a parte. Continua)