Il Cancro è Vinto: 1a parte

Di Marino Mariani

China Rurale. Regala una copia di "China Study" al tuo medico

China Rurale. Regala una copia di”China Study” al tuo medico

Premessa
Questa puntata esce con un vistoso ritardo rispetto alla precedente, ma, ve l’assicuro, non si tratta di tempo perduto di cui rammaricarsi, bensì di un intervallo riflessivo che è servito a far sbocciare l’idea di una teoria unitaria del cancro, una stretta correlazione tra linee d’indagine tradizionalmente sviluppate in modo del tutto indipendente l’una dall’altra, come se, per tutte, il soggetto non fosse lo stesso. Nel 1992 Jeremy Rifkin esce con “Beyond Beef” (in italiano “Ecocidio”. Mondadori), libro con cui comunica dati apocalittici sull’effetto serra e riscaldamento della Terra, prevedendo del pari la proliferazione degli uragani che, puntualmente, ed in impressionante crescendo, hanno cominciato ad abbattersi specie sulle città americane previste da Rifkin. La causa principale della progressiva opacizzazione dell’atmosfera terrestre, che impedisce al nostro pianeta di smaltire nel cosmo il calore assorbito come radiazione solare, è la produzione dei cosiddetti gas serra, causata, accanto ai fumi industriali, dalla zootecnia, cioè dall’allevamento e macellazione annua di miliardi (dicesi: MILIARDI) di animali, a seguito dello smodato consumo di carne (nonché di latte e formaggi). La descrizione dello stato di questi poveri e pacifici animali è atroce, talché, letto a malapena il primo capitolo, ho riposto il libro in un cassetto, e ho trovato il coraggio di riprenderlo e studiarlo fino in fondo solo dopo diciassette anni. La zootecnia ha assunto un ruolo prevalente nel processo di riscaldamento terrestre perché produce, accanto all’anidride carbonica, anche il temibile metano e gli ancora più temibili ossidi d’azoto. A sua volta il “China Study” dei dottori Campbell padre e figlio, redatto nel corso di una quarantina d’anni di ricerca e di decine e decine di milioni di dollari d’investimento, ha dimostrato che il cancro colpisce prevalentemente i consumatori di proteine animali mentre lascia in pace prevalentemente quelli che oggi si chiamano vegani, cioè coloro che consumano esclusivamente cibi di natura vegetale. Un buontempone potrebbe riderci sopra: “Chi alleva gli animali provoca la fine del mondo, e chi se li mangia muore di cancro”, e potrebbe ipotizzare l’esistenza di una divina provvidenza che compensa le cause con gli effetti. Rimane il fatto che Rifkin non parla di cancro e Campbell non parla del riscaldamento della terra. E nessuno parla del fatto che, costituzionalmente, l’essere umano non può essere carnivoro perché privo di organi d’attacco e difesa nella competizione con altri animali, e perché il suo apparato digerente è troppo lungo rispetto a quello dei carnivori e la carne imputridisce nel transito causando ogni tipo di malattia. Contemporaneamente emerge l’aspetto delinquenziale delle lobby e delle autorità governative (non solo americane) che bloccano l’informazione e impediscono il pubblico dibattito e l’adozione di misure atte a disinnescare questo processo di autodistruzione universale. Come vedete, lo scenario s’allarga.

La depressione del 1929 nelle campagn

La depressione americana del 1929 nelle campagne

Il 1933 fu veramente un anno fatale nella storia dell’umanità. In quell’anno Mussolini, beniamino dell’opinione pubblica mondiale, celebrava il decennale della sua ascesa al potere. Era apprezzato perché non aveva trucidato la famiglia reale come avvenne nella rivoluzione francese (Maria Antonietta), o la famiglia dello zar (strage di Ekaterinburg) come avvenne nella rivoluzione comunista in Russia, senza contare i milioni di cittadini che pagarono con la vita quegli avvenimenti storici. Mussolini, al contrario, si era mostrato deferente verso Casa Savoia e fedele a Vittorio Emanuele Terzo, Re d’Italia. Era ammirato per le opere pubbliche e sociali realizzate e per le imprese compiute dai suoi aviatori. Il suo massimo estimatore era Winston Churchill che in Parlamento lo citava continuamente (“Il signor Mussolini ha cambiato in sei mesi il volto di Roma mentre le macerie di due ponti sul Tamigi da anni aspettano di essere rimosse”) e lo designava come “Il massimo legislatore vivente”. Nel marzo del 1933 il candidato appoggiato da Mussolini, Franklin Delano Roosevelt, fu eletto Presidente degli Stati Uniti. Poche settimane prima, il 30 gennaio, in Germania aveva vinto le elezioni un altro candidato di Mussolini, Adolf Hitler. Questi fatti di politica internazionale a Roma venivano festeggiati come avvenimenti di politica interna, e le luminarie, le bande militari, le sfilate, i carri allegorici e le esibizioni folcloristiche e gli spettacoli pirotecnici me li ricordo anch’io, che a quei tempi avevo quattr’anni. In un’analisi retrospettiva, giudico quell’epoca e quegli avvenimenti come lo scenario e il contesto in cui il cancro, e tutte le “malattie del benessere” ad esso correlate, finora minoritarie rispetto alle “malattie della povertà” (tubercolosi, polmonite, malaria…) modificarono la loro rotta ed iniziarono la cabrata verso il rango di massima, immanente e ineludibile minaccia alla sopravvivenza della razza umana e del pianeta Terra. Col passare dei decenni, mi si è sviluppato uno strano tipo di memoria, simile alla memoria fotografica, ma la mia, invece che di singoli fotogrammi muti, è fatta di immagini in movimento col parlato sincronizzato ed accompagnamento sonoro. Una memoria cinematografica da far passare un numero infinito di volte sotto

La prima edizione di "Grapes of Wrath" di Steinbeck

La prima edizione di “Grapes of Wrath” di Steinbeck

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una sorta di moviola della vita, fino a che, a distanza magari di tre quarti di secolo, non ne sbocciasse spontaneamente, l’esatta interpretazione, il significato primigenio alla luce dei tempi, delle circostanze e delle situazioni. Ebbene, quando Mussolini tuonava contro le potenze “demo-pluto-giudaico-massoniche” e pontificava: “Tutto per lo stato, tutto nello stato, niente al di fuori dello stato”, che cosa intendeva, veramente? La differenza tra democrazia (sottintendendo democrazia parlamentare, elettiva, liberistica ad oltranza) e stato totalitario, se non la sappiamo, andiamocela a leggere su internet, le definizioni non mancano. Ma quella che mi mancava mi si è presentata spontaneamente quando, a corredo della preparazione di quest’articolo, sono tornato per l’ennesima volta a leggere brani scelti di “Food Politics” di Marion Nestle. Leggi e rileggi alla fine ci sono arrivato: la legalizzazione delle lobby, il riconoscimento del loro diritto di far valere le proprie istanze in nome di tutte le libertà garantite dalla costituzione americana, consentiva la costituzione di poteri più forti di quelli dello Stato, e la mala non si sarebbe fatta sfuggire questa opportunità, anzi. Dunque, all’atto pratico, un paese capitalistico è quello in cui la politica è determinata maggiormente dal potere finanziario in mano ai privati che non dagli organi legislativi costituzionali, oppure, in altre parole, un paese in cui lo stato non ha la forza sufficiente a contrastare il prevalere di interessi finanziari privati. Ebbene, quando nel 1933 il Presidente Roosevelt, col suo “New Deal”, diede il via al risanamento dell’economia americana, la Grande Depressione era già al suo quarto anno di vita, ed in questo frattempo i contadini ed i piccoli proprietari terrieri americani erano stati estirpati dai loro campi e dalle loro fattorie ed il suolo era caduto nelle mani delle banche e delle multinazionali. Era come se gli Stati Uniti avessero ingaggiato una guerra contro un nemico strapotente, subdolo e spietato, e l’avessero persa. Torme di invasori, sotto forma di sceriffi, ufficiali giudiziari scortati dalla polizia di stato, batterono le campagne, penetrarono nei casolari e nelle stalle, a snidare uno per uno i contadini ed i loro familiari, intimar loro, con le armi puntate, lo sfratto. Spesse volte quelle armi fecero fuoco, perché chi aveva coltivato quelle terre per tutta la vita, quelle terre coltivate per tutta la vita dai loro padri, dai loro nonni, non poteva resistere allo spettacolo delle proprie abitazioni di legno, in cui erano nati, spianate dai trattori senza un’ultima, disperata reazione. La vita del coltivatore è così: la fatica è sempre quella, ma il raccolto una volta è buono, un’altra volta è cattivo, e per questa ragione l’uomo ancestrale imparò ad integrare la propria alimentazione con i frutti della caccia e dell’allevamento. Il coltivatore, tradizionalmente, trova nelle banche l’elemento stabilizzatore, che fornisce tutto il credito necessario negli anni di magra, e se lo fa ripagare con gli interessi quando torna il bel tempo. Ma questa volta siamo alla vigilia del New Deal, e le banche stringono i cordoni delle loro borse, chiudono le porte del credito e preferiscono giocare la carta sicura della confisca. In pratica, questo quadro, è la trama di quello che forse è il più bel libro di John Steinbeck, comunque uno dei maggiori

Fuga della famiglia Joad dalla fattoria confiscata

Fuga della famiglia Joad dalla fattoria confiscata

della letteratura moderna: “The Grapes of Wrath”. Inutile tentare di tradurre questo titolo (che riprende un verso dell’inno di battaglia americano), perché tanto il libro, quanto il film che da esso fu tratto, sono notissimi in Italia con un nome tonante: “Furore”. Il libro, pubblicato nel 1939, racconta l’esodo della famiglia Joads: casa abbattuta e terreno confiscato, non rimaneva che accodarsi all’interminabile carovana di altre famiglie che, diventate straniere nella loro terra natia dell’Oklahoma, andavano a cercare miglior fortuna in California. Il libro fu immediatamente tradotto e pubblicato in Italia da Bompiani, ed ebbe grande successo: Io stesso ricordo di aver personalmente acquistato quel libro, non certo nel 1939, quando avevo solo 10 anni, forse nell’immediato dopoguerra. La critica (attuale) di quell’edizione fu che la traduzione era approssimativa ed ampiamente rimaneggiata dalla censura fascista. Il che, in una certa misura, è vero: la tradizione vuole che un editore, quando aveva acquistato, pagandoli, i diritti su una certa opera straniera, fosse poi autorizzato ad apportarvi tutte le modifiche e gli adattamenti ritenuti necessari per venderlo proficuamente nel proprio mercato. Ciò costituiva una normale consuetudine in campo internazionale. Nel caso di Furore, il caso si arricchiva di una ulteriore difficoltà. Per quel libro Steinbeck aveva adottato un linguaggio né letterario, né dialettale, bensì un linguaggio discorsivo a forti tinte, da scontro verbale, che metteva in forte difficoltà non solo i traduttori d’ogni lingua, ma anche i lettori americani abituati ad un inglese scritto più controllato del linguaggio parlato . Quanto all’intervento della censura, abitualmente quella fascista era moraleggiante e benpensante, attenuava o evitava le situazioni familiari scabrose come l’adulterio, il divorzio, l’abbandono e l’aborto, per non parlare di scioperi e tensioni sociali. Inoltre Mussolini volle che argomenti troppo pericolosi, come l’uso di droghe e di stupefacenti, non venissero menzionati a nessun titolo, in quanto il minimo accenno poteva provocare danni incalcolabili .Ma quando la Germania annunciò l’annessione dell’Austria, il 12 marzo 1938, Hitler, che per anni la stampa internazionale aveva dipinto come: “ Il goffo imitator di Mussolini”, da alleato tenuto a distanza dalla barriera delle Alpi, veniva ad essere nostro confinante. Un abitante dello stesso palazzo, stessa scala, stesso pianerottolo. Al che Mussolini dovette affrettarsi ad emanare le inique leggi di discriminazione razizale, prima che fosse Hitler ad imporcele brutalmente.

Henry Fonda e Jane Darwell, l'attrice che vinse l'Oscar

Henry Fonda e Jane Darwell, l’attrice che vinse l’Oscar

Nel 1939 era impossibile che la censura fascista si potesse astenere dalla critica al capitalismo e agli ebrei ritenuti promotori di questo sistema economico. E comunque non mi risulta che “Furore” fosse censurato oltre i limiti dei consueti aggiustamenti editoriali. La censura di quel libro fu ben più dura in America, ove giornalisti, investigatori ed avvocati furono sguinzagliati per dimostrare con ogni mezzo che il quadro tracciato da Steinbeck era esageratamente cupo e niente dimostrava l’esistenza di casi simili al calvario affrontato dalla famiglia Joad. Ma anche l’altro fronte si mosse, il libro fu giudicato veritiero ed appena uscito fu premiato col National Book Award, mentre l’anno successivo gli fu assegnato il premio Pulitzer. Divenne il best-seller numero 1, vendette oltre 4 milioni di copie rilegate, fruttò all’autore 75.000 dollari di allora, e venne considerato come un forte appoggio alla politica del New Deal. Dal libro fu immediatamente tratto il film diretto dal massimo regista cinematografico possibile, cioè da John Ford, che nella sua carriera raccolse ben quattro premi Oscar. Se il libro era epico, il film fu omerico, dantesco ed ebbe la nomination per l’Oscar in tutte le categorie. John Ford si portò via l’Oscar per la regia, ma tra gli attori, mentre Henry Fonda era dato come vincitore sicuro, l’Oscar fu invece assegnato all’anziana attrice Jane Darwell con pienissimo merito, perché, come nel libro, così sullo schermo il suo ruolo assurse alla grandezza della madre di tutte le madri coraggio. Quando vidi il film, ne fui soggiogato, ma qualche conto non mi tornava. Il libro finiva con i resti della famiglia Joads che si rifugia in un granaio per ripararsi da una pioggia torrenziale. Lì trovano un ragazzo che assiste il padre morente per gli stenti e per l’inedia. Allora la figlia diciottenne Rose of Sharon (in italiano Rosa Tea), incinta e abbandonata dal marito, che il giorno prima aveva partorito un bimbo nato morto, si china sul vecchio e gli offre il succo dei suoi seni rigonfi. La scena fu tagliata dalla censura americana, ma chi l’avesse vista non l’avrebbe più dimenticata per tutto il resto della vita. Come avvenne per i milioni di lettori del libro. Nello stesso periodo a Hollywood fu girato un film altrettanto coraggioso per opera del regista palermitano Francesco Rosario (poi Frank Russel) Capra, per diverso tempo giudicato il numero uno della cinematografia mondiale in virtù dei tre Oscar conquistati, primato in seguito eguagliato e superato da John Ford. Il film in questione è “Mr Smith goes to Washington” in cui James Stewart rappresenta un integerrimo e apparentemente sprovveduto giovanotto di provincia, capo della locale sezione dei boy scout, che viene inaspettatamente convocato a Washington in sostituzione di un senatore deceduto all’improvviso. Il partito lo sceglie sicuro

Edizioine  italiana del film di Frank Capra

Edizioine italiana del film di Frank Capra

di poter disporre di una pedina da manovrare a piacimento. Ma nel film il neosenatore Jefferson Smith scopre il complotto tra un grosso speculatore edilizio e la dirigenza del proprio partito. E lungi dal farsi tappare la bocca, intraprende una battaglia oratoria in Senato, che si conclude vittoriosamente in virtù di un finale a sorpresa secondo il miglior stile di Frank Capra. Ma per realizzare il film Frank Capra dovette affrontare ostacoli d’ogni tipo. A cominciare dalla lega dei Boy Scout of America che si rifiutò di prestare il proprio nome ai giovani seguaci di Jefferson Smith, che vennero chiamati, in sostituzione, “Boy Rangers”. Esaminato dalla censura, il regista fu minacciato e intimidito dall’Hays Office, che oltre a giudicare sulla decenza e moralità, imponeva rigide discriminazioni raziali per cui i bianchi e i negri non potevano apparire nello stesso fotogramma se non con i negri in chiare condizioni di subordinazione come il facchino, il lustrascarpe, il cuoco…Ma la specialità della censura era quella di stilare l’accusa di antiamericano e comunista, tipo d’accusa abituale prima della 2a Guerra Mondiale, ma che ebbe il suo acme negli anni 50, quando fu denominata “maccartismo” dal nome del senatore del Wisconsin Joseph MacCarthy. Charlie Chaplin, che si era prodigato nella sottoscrizione di fondi per i Buoni del Tesoro e che da solo aveva annichilito Hitler agli occhi del mondo con il film “Il Dittatore”, fu costretto a fuggire clandestinamente dagli USA: Anche Einstein fu accusato di comunismo e tenuto in isolamento. Queste accuse furono lanciate anche contro Frank Capra, reo di vilipendio degli organi istituzionali degli USA. Milioni di americani saranno rimasti colpiti dall’accusa di questi grandi registi verso la brutalità del capitalismo e la corruzione del Senato, ma siccome queste opere furono nonostante tutto pubblicate e raccolsero grande successo di pubblico, in pratica rafforzarono il mito che in USA ogni cittadino è libero di esprimere le proprie idee e sostenerle pubblicamente. E vederle trionfare (nei film). Rimane il fatto che l’economia, americana, dopo il 1933, anno del New Deal, riprese la sua corsa a gonfie vele, ma gli uffici governativi.nel settore della sanità, dell’alimentazione, nell’agricoltura…furono, in pratica, spazzati via dalle lobby, che dalla data del disastro di Wall Street, non rappresentavano più i coltivatori ma potentissimi consorzi industriali e finanziari, ognuno dei quali disponeva di risorse illimitate rispetto ai fondi governativi e, soprattutto,  di un esercito di avvocati.Ma la realtà, come spesso capita, supera la fantasia, ed è impossibile procedere in questo racconto se non diamo, prima, un quadro esatto di che cosa sia la Lobby americana.

Capra ottenne comunqueil secondo maggiore incasso della stagione

Capra ottenne comunque il secondo maggiore incasso della stagione

Madre del cancro e dell’effetto serra (da “Food Politics” di Marion Nestle)
Se vogliamo capire come hanno fatto le industrie agro-alimentari ad assumere un ferreo controllo sulla politica nutrizionale governativa, dobbiamo considerare il concetto stesso di “lobby” come un caposaldo stabilmente radicato nel panorama costituzionale americano. Lobbyng è ogni tentativo legale, individuale o di gruppo, teso ad influenzare la politica governativa, definizione che esplicitamente esclude l’uso della corruzione. Storicamente la lobbyng comprende tre elementi costitutivi: (1) Promozione e sostegno del punto di vista di un particolare gruppo d’interesse; (2) Tentativo di influenzare leggi, regole e regolamenti di natura governativa che possono interessare tale gruppo: (3) Discutere con gli esponenti governativi ogni sorta di regolamentazione che cada nella sfera d’interesse. I lobbysti alimentari, perciò, sono persone che chiedono ai rappresentanti governativi leggi e regolamenti favorevoli alle compagnie loro mandatarie anche a scapito di interessi altrui. Quanto meno, i lobbysti avevano il compito di fornire ai funzionari federali bollettini tecnici relativi a disegni di legge, programmi scolastici…Il valore nominale di queste expertise comprovava, all’occhio del mondo, la riluttanza della Camera a limitare le attività delle lobbies. Tuttavia quella dei bollettini tecnici, era soltanto una delle diverse strategie: più importanti erano i rapporti personali che si stabilivano durante i convegni e gli incontri sociali. Altri metodi di lobbyng erano costituiti dall’organizzazione di campagne per la raccolta di fondi, inscenare eventi mediatici, organizzazione di pubbliche dimostrazioni, controbattere le critiche e promuovere procedimenti legali. Tutte iniziative coronate da tanto successo, talché i lobbysti spesso furono considerati come una vera e propria branca governativa. Tuttavia i lobbysti vengono assunti, non sono eletti. Essi differiscono dagli avvocati e dagli esperti indipendenti in quanto vengono stipendiati per rappresentare non interessi pubblici, ma privati, e gran parte della loro attività viene svolta sottobanco. Finendo così per sollevare questioni di illegittimità e di abuso di potere. Il sistema politico deve dunque mediare tra le istanze di individui o gruppi privati nei confronti dei diritti della società presa nel suo insieme, e ciò richiede l’intervento di cittadini eletti. Per quanto riguarda l’attuale questione, il nodo è costituito dalla molteplice capacità dei consorzi alimentari di ottenere leggi e regolamenti a loro favore a scapito della salute pubblica. Il fatto di tollerare che la lobby alimentare possa fare tutto quello che sta facendo deriva dall’antica tradizione di accettazione della lobbyng come parte integrante del sistema politico americano. Che l’esistenza dei gruppi di pressione avrebbe creato tensioni era risaputo sin dagli inizi. Nel 1787 il presidente James Madison scrisse a proposito del “pericoloso male” costituito dalle fazioni, che traevano origine dalla natura umana e dall’ingiusta distribuzione della proprietà. Egli pensava che il danno causato dall’attività di speciali gruppi d’interesse potesse essere controllato in due modi fondamentali: rimovendone le cause e controllandone gli effetti. Come Madison aveva previsto, l’esposizione al pubblico di una lobbying eccessiva e disonesta ebbe, come effetto, quella di provocare inchieste e istanze di regolamentazione. Per i successivi 150 anni vari stati ed il Congresso stesso fecero sporadici ed infruttuosi tentativi di regolamentare la lobbying, Questa situazione di stallo durò fino al 1911. Quando poi il Congresso decise di prendere seri provvedimenti, la lobbying fu dichiarata legale, con la sola condizione che le persone assunte nell’organizzazione si facessero registrare e dichiarassero la fonte del loro finanziamento, e senza emettere

Marion Nestle

Marion Nestle

contemporaneamente un regolamento d’attuazione, talché, fino al 1959, si ebbe un solo processo in materia, e di conseguenza la regolamentazione di questo fenomeno fu considerata inapplicabile, e quindi priva di efficacia. Nel 1995 passò una legge che sanava alcune, ma non tutte, tra le ambiguità e le inadeguatezze esistenti. Tale legge definiva come lobbysta chi svolgeva tale attività per almeno il 20% del suo tempo lavorativo, che aveva relazioni con funzionari governativi e che percepiva almeno 5.000 $ in un periodo pari a 6 mesi. Chi non osservava tutti e tre questi adempimenti, non aveva neanche bisogno di registrarsi. Quasi contemporaneamente, emendamenti alle leggi elettorali federali limitarono il valore di cibarie e regali che i deputati potevano accettare dai lobbysti (…). Queste regole portarono non solo ad una crescita delle registrazioni dei lobbysti (com’era nelle loro intenzioni), ma anche ad una crescita generale delle attività delle lobbies. Secondo i dati raccolti dal “Center for Responsive Politics”, tra il 1997 e il 1999 il numero dei lobbysti registrati crebbe da 15.000 a più di 20.000. Il Center stimò che nel 1998 i lobbysti spesero più di 1,41 miliardi di $ per conto dei loro clienti e calcolò che se questa somma fosse stata impiegata per la sola influenza sul Congresso, e cioè sui 100 senatori e sui 435 rappresentanti, ognuno di essi sarebbe stato avvicinato da una media di 38 lobbysti stipendiati, che avrebbero speso 2,7 milioni di $ per ognuno di essi. Questa armata di dispensatori di danaro rappresenta ogni tipo di imprenditore americano: nessuna industria è troppo piccola, nessuno gruppo è troppo isolato e nessuna opinione è troppo estremistica da tralasciare di finanziare un proprio lobbysta professionale. Con cifre d’affari dell’ordine di miliardi di $, la lobbying costituisce un’enorme industria di per sé.(…).Negli anni 1950 appena 25 gruppi industriali alimentari dominavano la lobbying agricola, ma nel decennio 1980 i gruppi erano già diventati 84, e nel 1990 addirittura centinaia, se non migliaia, di imprese, associazioni, nonché entità individuali si affollarono per tentare di influenzare sulle decisioni governative su ogni materia correlata alla produzione, alla manifattura, alla vendita, al servizio e al commercio di alimenti e bevande. Uno studio del 1977 identificò, in questa categoria, 612 emissari individuali e 612 gruppi. (…) Come tutti i lobbysti, quelli delle imprese alimentari guadagnano l’accesso al personale e agli uffici governativi con mezzi ben diversi dai bollettini tecnici, benché questi seguitino a fornire un’ottima scusa per intrattenere contatti regolari. Tra i vari sotterfugi, due meritano una particolare attenzione: (1) il più o meno evidente trasferimento di fondi dai lobbysti al personale governativo sotto forma di donazioni (hard money) legalmente registrate, di donazioni legali ma non registrate (soft money), nonché regali e (2) il frequente scambio di lavoro tra lobbysti e personale governativo, operazione nota col nome di “porta girevole”.

La porta girevole
Il fatto che i lobbysti ed i funzionari governativi non costituiscano due sistemi distinti ed indipendenti suscita il sospetto di un’ingiustificata influenza. Oggi pubblici funzionari, domani lobbysti e viceversa. La trasformazione dovuta alla porta girevole dei funzionari governativi in lobbysti e dei lobbysti in funzionari governativi non è un fenomeno recente. Nel 1968, per esempio, almeno 23 ex senatori e 90 ex rappresentanti si registrarono come lobbysti a favore di organizzazioni private. Più recentemente, tra i rappresentanti congressuali respinti alle elezioni del 1992, il 40% si trasformò in lobbysti, e così fecero i rispettivi staff: tra il 1988 e il 1993, il 42% dei direttori delle commissioni senatoriali, e il 34% di quello dei rappresentanti, si fecero lobbysti. Nel 1988, 128 membri del congresso erano annoverati tra i lobbysti – il 12% tra tutti i senatori e i rappresentanti che avevano lasciato il loro ufficio a partire dal 1970. Per avere un’idea della posta in palio, la ditta, cui apparteneva l’ex senatore (repubblicano

Nuova edizione aggiornata di "Food Politics"

Nuova edizione aggiornata di “Food Politics”

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del Kansas) e candidato presi-denziale Robert Dole incassò, nel 1997, 19 milioni di $ come “lobbying fees” (onorari dai gruppi d’interesse). (…). Lo sforzo delle industrie alimentari di influenzare le norme dietetiche rivolte al pubblico e di esaltare l’immagine dei propri prodotti va ben oltre le pressioni esercitate sul Congresso e sulle agenzie governative e punta direttamente al cuore della nutrizione intesa come professione. Una esplicita strategia aziendale è quella di ingaggiare esperti, specie quelli dotati di titoli accademici. Una guida a tale strategia spiega che questa particolare tattica “viene attuata in modo ottimale identificando gli esperti di maggior spicco, assumendoli come personale scientifico o come consulenti, oppure versandogli fondi per la ricerca o altre finalità. Quest’attività richiede un minimo di discrezione, non deve apparire troppo vistosa, affinché gli esperti stessi non debbano rendersi conto che essi hanno perso la loro obiettività e la loro libertà d’azione. Come minimo, un programma di questo tipo riduce il rischio che gli esperti di maggior spicco siano disponibili a testimoniare e a scrivere contro gli interessi delle ditte”. Le ditte alimentari applicano questa strategia per assoldare nutrizionisti come alleati in varia guisa, a volte palese, a volte no. Abitualmente forniscono istruzioni e fondi a dipartimenti accademici, istituti di ricerca e società professionali, e finanziano congressi, conferenze, pubblicazioni nonché attività consimili. La maggior parte degli alimentaristi professionali dipendono da tale supporto, ed in parte ne vanno in cerca. Così facendo, il quesito è se questa non è corruzione dell’integrità accademica e professionale. (…) I raduni professionali normalmente vengono allestiti in alberghi, sono molto costosi ma possono produrre sostanziose entrate per le ditte alimentari. Per esempio, l’American Dietetic Association ha riferito del ricavo di 900.000 $ registrato nel convegno annuale del 1998, somma che sicuramente supera le spese. Per generare questi guadagni, le ditte alimentari abitualmente vanno a caccia di sponsorizzazioni aziendali, che le aziende accolgono con favore. Ditte di alimenti, bevande e supplementi integratori comprano spazi ai congressi, collocano pubblicità negli opuscoli e nei programmi, offrono pause caffè, spuntini ed accoglienza, sponsorizzano premi alla ricerca e premiano gli studenti, forniscono penne, borse ed altri souvenir del meeting – del che vengono ufficialmente ringraziati nelle pagine dei programmi. (…). I dipartimenti di nutrizione, scienza dell’alimentazione, tecnologie alimentari ed agricoltura di colleges ed istituti universitari pubblici e privati cercano ansiosamente di ottenere, dalle aziende, contributi per la ricerca, la scolarità, apparecchiature, sistemazioni e locali. Una visita ai maggiori campus ad orientamento agricolo, per esempio, sicuramente rivelerà edifici e programmi intitolati alle ditte donatrici. In questa materia c’è un’antica tradizione nel sistema federale di assegnazione di terreni con cui il ministero USA dell’agricoltura (USDA = US Depatment of Agriculture) affida a certe università statali la ricerca e la sperimentazione in campo agricolo. Recentemente queste convenzioni includono contratti in esclusiva tra aziende e dipartimenti accademici… consentendo al partner industriale di:

Scegliere la facoltà partecipante.
Avere libero accesso a tutte le ricerche non vincolate.
Revisione dei risultati delle ricerche prima della pubblicazione.
Accordo per lo sfruttamento delle tecnologie prodotte dalla ricerca.
Accordo con le facoltà su progetti specifici.
Veto alla facoltà di partecipare ad altri progetti.
Impiego a tempo pieno nella facoltà di propri scienziati.

Nel caso del dipartimento “Plant and Microbial Biology” della Berkeley University of California (UC), la facoltà, avendo accettato questi principi, scelse Novartis, la ditta svizzera operante in agricoltura e medicinali, proprietaria anche della Gerber Products, come partner in un giro d’affari ammontante a $50 milioni – $25 milioni per i laboratori ed altrettanti per la ricerca, distribuiti in un periodo di 5 anni, pari a un terzo del bilancio annuale destinato dal dipartimento alla ricerca. La critica immediatamente sottolineò che tale accordo ledeva il principio di libertà e indipendenza accademica…

Dr. Colin Campbell, autore, col figlio Thomas, di "China Study"

Dr. Colin Campbell, autore, col figlio Thomas, di “China Study”

Veronesi: ”J’accuse”
Quanto precede è un estratto infinitesimale (ma fedele) della lunga, implacabile istruttoria raccolta da Marion Nestle nelle centinaia e centinaia di pagine dei suoi libri, tutti premiati dalle istituzioni ufficiali ed accolti dal pubblico come best-seller. Se avessi proseguito nelle mie citazioni, saremmo arrivati al punto in cui la lobby propone l’allattamento artificiale a base di polverine industriali come superiore all’allattamento naturale dal seno della madre. Ma forse la massima indignazione l’avrebbe destata la penetrazione della lobby nelle scuole, alla luce del principio che la clientela più fedele è quella che si conquista sin dall’infanzia: ebbene, una ditta alimentare firma un contratto con un istituto scolastico, in cui s’impegna a fornire un determinato aiuto per esempio sotto forma di attrezzature e materiali didattici e sportivi, ed in cambio ottiene il permesso di inondare la scolaresca di materiale propagandistico e di installare distributori automatici da cui i bambini possono attingere bevande zuccherate e merendine ai grassi idrogenati. Ebbene, i libri della dottoressa Nestle (mi raccomando: Nestle, non Nestlé) mirano a portare a conoscenza del pubblico i pericoli alimentari derivanti dalla connivenza tra la lobby, le strutture legislative e le agenzie governative. Ma tale connivenza, sia pure sospetta e riprovevole, in USA è legale, e quindi non c’è assolutamente da aspettarsi che possa essere rimossa, almeno non pacificamente. D’altra parte la Nestle non è certo isolata nel controllo e nella denuncia delle attività della lobby. In prima fila si schiera Il dottor Colin Campbell, autore di “The China Study”, che ha impiegato una quarantina d’anni della sua vita a sperimentare migliaia e migliaia di diete sui ratti di laboratorio, sui pazienti e su intere popolazioni. i suoi risultati sono virtualmente accettati all’unanimità dai maggiori scienziati di tutto il mondo, ma sono totalmente ignorati dalle autorità governative e dalle unioni consortili degli USA, ove tutte le cariche sono sotto il controllo delle industrie alimentari e farmaceutiche, che foraggiano lautamente non una o l’altra delle parti politiche, ma entrambe. Traggo due brani dal libro “China Study”:

“…l’industria farmaceutica gode di protezione straordinaria e di straordinarie sovvenzioni da parte del governo. Gran parte delle prime ricerche di base che potrebbero portare allo sviluppo di farmaci sono finanziate dagli Istituti Nazionali di sanità. Solitamente, è solo in un secondo momento, quando la ricerca si rivela promettente da un punto di vista pratico, che subentrano le case farmaceutiche. L’industria gode anche di grossi vantaggi fiscali: non solo i costi di ricerca e sviluppo sono deducibili, ma anche le sue ingenti spese di marketing…Ma soprattutto, le case farmaceutiche godono di un monopolio diciassettennale garantito dal governo su ogni loro nuovo medicinale, e questa si definisce protezione del brevetto. Una volta che il farmaco è brevettato, nessun altro può venderlo e la casa farmaceutica è libera di praticare qualsiasi prezzo il mercato possa reggere”.

Ed inoltre:

* L’industria farmaceutica si ingrazia gli studenti di medicina con omaggi,  fra cui inviti al ristorante, svaghi e viaggi; eventi didattici, comprese conferenze, che sono poco più che pubblicità per i medicinali, e congressi con relatori che sono poco più che portavoce delle case farmaceutiche stesse.
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* La ricerca e la medicina accademica non fanno che eseguire le direttive dell’industria farmaceutica. Questo accade perché le case farmaceutiche, e non i ricercatori, stabiliscono l’impianto della ricerca, il che permette loro di “addomesticare” lo studio: i ricercatori hanno un interesse finanziario diretto nella società farmaceutica il cui prodotto stanno studiando; la casa farmaceutica è responsabile di raccogliere e confrontare i dati grezzi e poi permette ai ricercatori di prenderne visione solo in maniera selettiva; la casa farmaceutica mantiene il diritto di veto relativo alla pubblicazione o meno dei risultati e detiene i diritti editoriali su qualunque pubblicazione scientifica risultante dalla ricerca; la casa farmaceutica ingaggia un’azienda di comunicazione e le affida la stesura dell’articolo scientifico, e poi trova ricercatori disposti ad apporre il proprio nome in qualità di autori dell’articolo a redazione ultimata.

*Le più prestigiose riviste scientifiche sono diventate poco più che veicoli di marketing per le case farmaceutiche: la loro fonte principale di reddito è la pubblicità dei farmaci. Questa pubblicità non viene adeguatamente controllata dalla rivista e le aziende spesso fanno affermazioni fuorvianti sui farmaci di loro produzione. Ma, ciò che forse è più sconcertante, la maggior parte della ricerca clinica sperimentale riportata dalle riviste è sovvenzionata dalle aziende farmaceutiche e gli interessi finanziari dei ricercatori coinvolti non sono pienamente riconosciuti.

Anche Umberto Veronesi accusa la lobby

Anche Umberto Veronesi accusa la lobby

Questo stato delle cose, disgraziatamente, non si limita al panorama americano, ma si ripete identicamente in ogni parte del mondo. È segno che tutti gli stati sono indebitati ed i governi sono praticamente disarmati di fronte alla trionfale espansione della mala. In US il paradosso giunge al punto di considerare governo e lobby come sinceri alleati, e non come parti contrapposte. In Italia Umberto Veronesi, che a volte può apparire ambiguo e possibilista, è titolare di quest’atto d’accusa reciso e deciso, apparso su numerosi giornali e siti, tratto dal suo libro “Verso la scelta vegetariana”.

“La carne è cancerogena… ed è anche causa di quasi tutte le malattie degenerative, eliminatela o limitatene il consumo. Molti mi chiedono il motivo per cui le popolazioni non sono informate su questo, perché i medici non ne parlino e perché l’opinione comune è di tutt’altra realtà. La base è che viene fatta un’informazione errata, dalle università alle riviste medico-scientifiche. I professori nelle università insegnano cose errate sull’argomento alimentazione, gli studenti a loro volta insegneranno non in maniera corretta i loro futuri alunni o pazienti e così via. Le riviste medico scientifiche più accreditate sono sul libro paga delle multinazionali farmaceutiche e pubblicano solo ciò che è consentito loro di pubblicare o ciò che è imposto loro dalle suddette multinazionali. Molti medici e ricercatori, sulla base anche di numerose ricerche, per la maggior parte “insabbiate”, sono coscienti degli effetti dannosi del consumo di carne, ma hanno le mani legate. Io, che sono uno scienziato di fama internazionale, posso prendermi il lusso di fare queste affermazioni, se lo facessero loro, probabilmente non lavorerebbero più. L’industria alimentare e le multinazionali farmaceutiche viaggiano di pari passo, l’una ha bisogno dell’altra e queste due entità insieme, generano introiti circa venti volte superiori a tutte le industrie petrolifere del globo messe insieme…potete quindi ben capire che gli interessi economici sono alla base di questa disinformazione. Se tenete conto che ogni malato di cancro negli Stati Uniti fa guadagnare circa 250.000 dollari a suddette multinazionali, capirete che questa disinformazione è voluta ed è volta a farvi ammalare per poi tentare di curarvi”.

Quello che in America è ritenuto legale, qui in Italia mi sembra che costituisca un reato, quindi ritengo che il dibattito sui farmaci e sulle diete anticancro possa e debba sloggiare dagli ambienti accademici e trasferirsi nelle aule dei tribunali.