Einstein: 5a parte

Di Marino Mariani

Albert Einstein, ritratto di Hermann Struck (1920)

Albert Einstein, ritratto di Hermann Struck (1920)

Einstein è caduto nelle spire di un amore insano che la famiglia ed i colleghi condannano. L’unione ufficiale, cioè il matrimonio con Mileva Maric, viene comunque rimandato al momento in cui lui si sarà sistemato. Sì, ma quando? Contrariamente alla tradizione che vuole i neo diplomati del Politecnico di Zurigo immediatamente assunti in posti accademici di assistenti ed insegnanti, in tutta l’Europa nessun istituto risponde alle disperate richieste di Einstein, ed una ragione c’è, come leggerete in questa puntata. Ma se il menefreghismo e l’insolenza di Einstein non fossero valsi ad erigere una barriera invalicabile attorno a lui, oggi nessuno scriverebbe articoli sul più grande scienziato dei nostri tempi. O di “tutti” i tempi? (Biografia scritta originariamente per la rivista Suono) 

Mileva Maric

Mileva Maric


Ricordando che il capitolo IV di questa biografia è stato completamente dedicato alla confutazione di vistose inesattezze contenute nello sceneggiato televisivo “Einstein” di Liliana Cavani, riprendiamo la nostra storia dal capitolo 3, in cui il giovane Einstein, che ora frequenta il Politecnico di Zurigo (lo storico ETH), pianta inaspettatamente la graziosa Marie Winteler, che è stata il suo “primo amore”, e che era diventata la beniamina di tutti i familiari di Albert. In particolare era la prediletta di mamma Einstein, che non vedeva l’ora di averla come nuora. Ma Einstein sente il fascino di Mileva Maric “brutta”, claudicante e tenebrosa, malaticcia e profondamente intellettuale. Con lei può parlare di filosofia, scienza ed in particolare di fisica (Mileva è sua compagna d’università, l’unica ragazza dell’Istituto). Albert è ultrafelice quando possono studiare assieme, e quando studia da solo, immagina che Mileva sia al suo fianco. Ognuno di loro sente di essere un essere solitario, e quando stanno assieme le loro solitudini si compongono, si fondono, germogliano e li portano all’estasi.

Una tesi di ricerca
Questo periodo è molto felice per Einstein, non solo per la sua sfera affettiva, ma anche per la sua vita accademica. Negli esami intermedi dell’ottobre 1898 egli risulta il primo della classe, con una media di 5,7 su un massimo invalicabile di 6. Lo segue a ruota, con il punteggio di 5,6, il suo amico per la vita Marcel Grossmann, il bravo matematico che prende appunti talmente precisi che potrebbero essere stampati e adottati come libri di testo. Ed infatti Einstein adottava questi appunti preferendoli proprio ai libri di testo. Benché a quel tempo l’ETH non potesse erogare lauree propriamente dette (con tanto di titolo di Dottore) per diplomarsi Einstein e i suoi colleghi dovevano comunque svolgere una tesi di ricerca ed a tal uopo si rivolge al professor Weber proponendogli una esperienza atta a determinare la misura della velocità della Terra rispetto all’etere. Vediamo di chiarire il concetto: Newton, con la sua Meccanica deterministica, aveva lasciato all’umanità un universo materiale regolato da leggi ineluttabili descritte da equazioni fondate sull’assunzione di sistemi di riferimento inerziali, cioè sistemi di riferimento cartesiani immobili nello spazio. Oppure in moto rettilineo uniforme rispetto ad un sistema inerziale. Si riteneva che il sistema di riferimento inerziale per eccellenza, se non per definizione, fosse quello delle stelle fisse o solidale con questo, ma per esperienze di minore portata anche il Sole poteva essere considerato come punto d’origine di una sistema inerziale. La Terra stessa poteva essere assunta come riferimento inerziale, benché essa rotei su se stessa e descriva un’orbita ellittica attorno al Sole. Comunque un sistema di riferimento poteva essere considerato inerziale nella misura in cui “un corpo non soggetto a forze resta in quiete, o si muove di moto rettilineo uniforme”, che sarebbe il primo principio della dinamica, formulato da Galileo. Su questo principio si basa anche la cosiddetta “relatività galileiana”, cioè che lo spostamento e la velocità di un punto materiale si compone vettorialmente con lo spostamento e la velocità del sistema di riferimento dell’osservatore. Ci sono

Albert Michelson, primo Nobel americano

Albert Michelson, primo Nobel americano

esempi banali di applicazione di questo tipo di relatività, per esempio, anche senza sostenere un esame di guida, tutti sanno che un conto è lo scontro di un’automobile che va a 50 all’ora contro un ostacolo fisso, ed un altro è quello di un’automobile che va a 50 all’ora e si scontra con un’altra automobile che va anch’essa a 50 all’ora. In questo caso ognuno dei guidatori vede l’altra macchina venirgli contro a 100 all’ora. Questo tipo di ragionamento vale per una vasta gamma di fenomeni, compreso quello delle onde sonore in cui osserviamo che la velocità della sorgente si compone con quella dell’osservatore. Ma non vale per la luce, che non si compone vettorialmente con nessuna velocità d’osservazione. Allora, nella seconda metà dell’800, nacque l’ipotesi che esistesse uno spazio cosmico assoluto, fatto di…niente (cioè immateriale, incorporeo), che fungesse da sistema di riferimento universale, per il quale la velocità della luce è sempre e comunque “c”, ovverossia ca. 300mila km/s. Nasceva allora, tra i tanti, anche il problema di determinare la velocità del nostro pianeta rispetto all’etere, e furono ideate numerose esperienze per compiere questo esperimento. Tra tutte, quella più nota e più volte ripetuta non solo dai suoi autori Michelson e Morley ma anche da altri illustri sperimentatori, che si basava sulla differente velocità di un raggio luminoso emesso dal Sole e raccolto dalla Terra in due diverse situazioni: la prima in un istante scelto arbitrariamente, e l’altra sei mesi dopo, quando la velocità della Terra rispetto al Sole aveva il segno opposto. L’esperimento avveniva in questo modo: innanzitutto il sistema di riferimento (quello dell’osservatore, cioè la Terra) si muove con velocità “v”; un raggio di luce proveniente dal Sole viene diviso in due mediante uno specchio semitrasparente posto a 45° rispetto alla direzione della velocità “v”. Una parte viene trasmessa parallelamente al vettore velocità “v”, raccolta da un primo specchio S1 e rinviata allo specchio semitrasparente che la devia di 90° inviandola allo strumento d’osservazione. L’altra parte viene inviata perpendicolarmente alla velocità “v”, viene riflessa da uno specchio S2 ed inviata anch’essa allo strumento d’osservazione, che è un interferometro, che produce figure dette “frange d’interferenza”, dipendenti da un processo di somma e sottrazione fondato sulla differenza dei tempi di percorrenza dei due raggi deviati sui rispettivi cammini ottici. Ripetendo l’esperienza a sei mesi di distanza, la velocità “v” del sistema d’osservazione si dovrebbe comporre con la velocità della luce “c” con un segno opposto, e dar luogo ad uno spostamento delle frange d’interferenza rilevate sei mesi prima. Diciamo subito che questo esperimento ha sempre dato esito negativo, nel senso che mai fu rilevato uno spostamento delle frange d’interferenza. Ebbene, Einstein propose al professor Weber un esperimento sostanzialmente uguale a quello che abbiamo descritto, ignorando che questo era stato già concepito, eseguito e ripetuto da Michelson e Morley, beccandosi quindi, come tutta risposta, una sonora risata di scherno. Ci siamo soffermati su questo episodio, perché tutti libri di testo o di esegesi affermano che, formulando la sua teoria della Relatività Speciale, mentre tutto il mondo scientifico versava fiumi d’inchiostro per giustificare il fatto che quell’esperimento “non era (ancora) riuscito”, Einstein ne aveva assunto come positivo il risultato negativo, che avrebbe così dimostrato fuori da ogni dubbio come la velocità della luce fosse una velocità limite, costante e non componibile vettorialmente. Ma Einstein aveva invece affermato come “assioma”, come un principio fondamentale destinato a cambiare il volto della fisica, la costanza della velocità della luce, e non come risultato sperimentale. Nel corso della vita Einstein più volte affermò che la sua teoria non dipendeva dal risultato dell’esperienza di Michelson e Morley, che lui ignorava, ed il fatto che lui la proponesse come sua tesi sperimentale, ritenendola una novità, conferma la sincerità della sua asserzione. Inoltre ricordiamoci

Allestimento dell'esperienza di Michelson-Morley

Allestimento dell’esperienza di Michelson-Morley

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che Einstein nac-que nel 1879 e che quest’anno si celebra il 130mo anniversario della sua nascita, mentre il primo esperimento di Michelson fu effettuato, con un prototipo della sua attrezzatura, nel 1881 quando Albertino aveva due anni. I successivi insuccessi dei suoi esperimenti avranno fatto sì che la stampa non desse loro molta risonanza. Comunque, per i suoi meriti di fisico sperimentale, Michelson ebbe il premio Nobel per la fisica nel 1907, e fu il primo americano ad essere incoronato. Va da sé che l’esperienza di Michelson e Morley, se fosse stata correttamente interpretata, avrebbe anticipato la nozione di non esistenza dell’ente immateriale denominato etere, ma bisognò aspettare che Einstein lo proclamasse dalla sua stanzetta di perito di terzo grado dell’Ufficio Federale dei Brevetti a Berna. Non ci sarà molto da aspettare, l’annus mirabilis di Einstein è fissato al 1905, ma nessuno ancora lo sa.

Il diploma
Einstein propose ai professori altri temi per la sua tesi di ricerca, ma di fronte ad ulteriori dinieghi preferì rinunciare a svolgerla. Nel successivo compito in classe Weber appioppò ad Einstein e a Mileva i due voti peggiori: rispettivamente un 4,5 ed un 4,0. In confronto, Grossmann conseguì 5,5. E siccome Einstein non aveva scritto sui fogli regolamentari, il professore lo obbligò a ricopiare tutto il lavoro sui fogli idonei. Nonostante il cattivo risultato di questo esame, Einstein si presentò al giudizio finale con una media di 4,9, il minimo necessario per essere promosso, e quindi conseguì il suo diploma ufficiale a luglio del 1900. Risultò al quarto posto su cinque. Il quinto posto toccò, con 4,0, a Mileva, che pertanto fu respinta e si propose di ritentare l’esame l’anno dopo. Einstein passò la sua vita di studente del Politecnico a qualificarsi come un anticonformista, un combattente per la libertà di pensiero, e dopo aver conseguito per un soffio il suo diploma, dichiarò di essere tanto amareggiato da provare, per almeno un anno intero, un vero disgusto per ogni problema di carattere scientifico. Esagerava, e per il resto della vita non fece che elogiare e rimpiangere gli anni passati al Politecnico. Dopo solo un paio di settimane si caricava i libri di Bolzmann e di Kirchhoff e prendeva il treno per incontrarsi con la famiglia proveniente da Milano e passare le vacanze nelle Alpi svizzere, a Melchtal, a metà strada tra Lucerna ed il confine italiano. Dopo una prima tornata di baci, carezze e abbracci, tra la mamma, la sorella e la zia, inevitabilmente Albert è messo sotto processo. La madre è sicura che tra loro (Albert e Mileva) prima o poi un figlio nascerà, con grande scandalo. Albert si erge fieramente: “Noi non viviamo nel peccato, il nostro è un amore purissimo!”. Come non credergli? Ma se leggerete per intero questa puntata, vedrete che un certo viaggio a Como……La madre insiste: “Tu hai ventun anni e lei ventiquattro. Quando tu ne avrai trenta lei sarà già una vecchia strega!” (Marie Winteler ne aveva diciotto quando lui ne aveva sedici). Per quietare le acque, Albert adotta la tattica del bravo figliolo, affettuoso e servizievole, alieno da ogni forma di contrasto, ossequioso con il parentado e con gli amici di famiglia, sempre pronto a suonare il violino per tutta la brigata. E poi prende il treno per andare a trovare papà Hermann, rimasto a Milano per curare gli affari della ditta.

Venezia e il Canal Grande

Venezia e il Canal Grande

Viaggio a Venezia
Albert si è sempre dimostrato preoccupato per gli affari di suo padre, che trattava con i comuni e con gli enti locali della Lombardia e del Veneto contratti per la produzione di energia idroelettrica, impianti di illuminazione urbana, forniture di dinamo ed elettromagneti ed altre apparecchiature elettrotecniche. Gli affari avevano un andamento alterno, e già la zio Jakob, l’ingegnere fratello di papà Hermann, in un periodo in cui l’impresa navigava in cattive acque, si era lasciato convincere ad abbandonare il sogno dell’indipendenza ed aveva preferito impiegarsi in altre (solide) società che gli assicuravano uno stipendio mensile. Albert desiderava che anche il padre seguisse la via dell’impiego sicuro e dello stipendio garantito, ma studiava anche la possibilità di trasformarsi in ingegnere lui stesso, pronto a subentrare al padre per ogni evenienza. Nugoli di studiosi hanno cercato di calcolare le probabilità che Einstein avrebbe avuto di diventare un buon ingegnere, e tutti hanno convenuto che sicuramente sarebbe diventato un “buon” ingegnere, e niente di più. Questo, probabilmente, era anche il pensiero di Einstein, che coltivò l’idea di aiutare il padre, ma non di passare dalla facoltà di fisica a quella di ingegneria. E comunque, se il padre glielo avesse chiesto, adesso che aveva il suo diploma in fisica, alla fine di quello stesso anno (1900) si sarebbe segnato a Ingegneria. In questo periodo la ditta di famiglia va a gonfie vele, Hermann Einstein non è assillato da gravi problemi, e si commuove alle profferte del figlio. Il quale carica la dose, anche (se non principalmente) per addolcire la posizione del padre nei confronti di Mileva. In un impeto di ottimismo, il padre progetta una viaggio (di piacere) a Venezia ed invita il figlio a seguirlo.

Il disoccupato
Durante quella sorta di viaggio premio padre e figlio si scambiarono teneri affetti: il padre si sentiva commosso ed estremamente confortato dall’idea che il figlio potesse entrare nella ditta di famiglia. Ed il figlio rifletteva sul fatto che, in fondo, lui non era che un diplomato a basso punteggio, e che non poteva contare su nessun appoggio nel mondo accademico. Tra le ferie a Melchtal e la sua visita a Milano, Einstein aveva fatto un salto a Zurigo per vedere che aria tirava, sperando di essere assunto come assistente di qualcuno dei suoi professori, ed era costume che, se voleva, ogni neodiplomato poteva ottenere quel tipo di impiego. Nel frattempo un amico gli aveva trovato un posto in una società d’assicurazioni, che Einstein rifiutò sdegnosamente. Il problema era che i due professori di fisica al Politecnico non erano minimamente convinti del genio di Einstein, e ricordavano solo la sua impudenza. Il professor Pernet, che già gli aveva fatto una sfuriata, non andava preso in considerazione. Quanto al professor Weber, costui aveva sviluppato per Einstein una vera allergia al punto che, non avendo a disposizione nessun diplomato in fisica o matematica, assunse come assistenti due studenti d’Ingegneria. C’era da interpellare il professore di matematica Adolf Hurwitz, il cui assistente se n’era andato avendo vinto una cattedra di Liceo. Einstein sentiva di avere quel posto già in tasca e, da Milano, dov’era tornato in seno alla famiglia, scrisse a Mileva “A Dio piacendo, sarò lo scudiero di Hurwitz”. Alla fine di settembre stava ancora a Milano dai suoi genitori, senza aver ricevuto alcuna offerta, per cui scrisse “Ad ottobre conto di tornare a Zurigo ed avere un colloquio con Hurwitz, parlargli a quattr’occhi è certamente meglio che scrivergli”. Poi ci ripensò, e gli scrisse senza avere risposta. Aveva perorato la propria causa affermando che quel posto gli era necessario, perché senza un impiego non poteva neanche richiedere la cittadinanza di Zurigo. Alla fine di quell’anno tornò a Zurigo, cercando disperatamente qualche lezione privata, e buttando giù qualche scritto di fisica teorica. Il suo primo “paper” (saggio) ad essere inviato agli Annalen der Physik a dicembre (1900) e pubblicato a marzo, riguardava l’effetto di capillarità. Era una ricerca di nessun valore, secondo il parere dello stesso autore, ma Einstein vi trattava molecole ed atomi come entità reali, quando la comunità scientifica internazioniale era ancora scettica sulla vera natura di queste particelle, la cui esistenza era solo ipotizzata. Da quel momento Einstein accluse il suo articolo stampato alle sue richieste di lavoro, senza alterare la prassi che si era consolidata: nessuno gli rispose. Poiché, nella sua corrispondenza con Mileva, parlava di quell’articolo come del “nostro articolo”, gli studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Mileva fosse il “genio ispiratore” del giovane e, come vedremo, prodigioso Einstein dei suoi migliori anni creativi, e che la capacità creativa di Einstein svanì quando Mileva scomparve dalla sua vita. Non c’è alcuna prova che Mileva fosse qualche cosa di più, chiamiamolo così, di un “genere di conforto”. Avendo ripudiato la cittadinanza tedesca, ormai da quattro anni Einstein era senza alcuna nazionalità ed era assillato dal problema di avere la cittadinanza elvetica per ottenere un posto da insegnante o un impiego nella pubblica amministrazione. Vantando il suo diploma

Il sospirato passaporto svizzero

Il sospirato passaporto svizzero

all’ETH, asserendo di vivere impartendo “provvisoriamente” lezioni private in attesa di assunzione, convinse le autorità zurighesi ad esaminare favorevolmente il suo caso: cosa che le autorità cittadine fecero con grande severità, estendendo le loro indagini fino a Milano e alla sua famiglia. L’esito fu positivo, e a febbraio del 1901 gli concessero la cittadinanza. In uno slancio di gratitudine Einstein volle assolvere un dovere verso la nuova patria, e sostenne la visita militare da cui uscì riformato. Ma alcune settimane dopo i genitori lo richiamarono a Milano, avendo deciso di non sovvenzionare più il suo soggiorno all’estero, se non avesse trovato un impiego entro Pasqua. Ed a Pasqua Einstein era sempre disoccupato. Se non avesse ottenuto poche settimane prima la cittadinanza zurighese, le massime probabilità erano che avrebbe dimorato in Italia e che ne avrebbe assunto la nazionalità.

La riscossa degli amici
Da Zurigo e da Milano Einstein seguitò ad inviare lettere a tutti i professori d’Europa, offrendo i suoi servigi, ed allegando il suo articolo di ricerca, senza ricevere risposta. Nell’aprile del 1901 Einstein si era ridotto ad acquistare pile di biglietti postali con risposta pagata. Due di questi sono miracolosamente sopravvissuti, e sono diventati inestimabili pezzi da collezione, esposti nei musei. Tra i luminari interpellati, il più celebre era Wilhelm Ostwald, professore di chimica a Lipsia e autore di una teoria della diluizione, che gli valse il premio Nobel. Non rispose. Non rispose ad una seconda lettera che Einstein gli inviò con la scusa che, forse, aveva dimenticato di allegare il proprio indirizzo. A questo punto fu il padre di Albert a scrivere ad Ostwald una nobilissima lettera che meriterebbe di essere riportata integralmente. Comunque Ostwald non rispose. Tuttavia, per una felice aneddotica della storia, anni dopo fu Ostwald il primo a segnalare Einstein per il conferimento del premio Nobel. Alla fine Einstein aprì gli occhi, e capì che la sua condanna all’ostracismo universale era dovuta esclusivamente al prof Weber, cui tutti gli interpellati si rivolgevano per avere referenze su un certo Einstein. Einstein attribuì la causa dei suoi insuccessi anche al generale antisemitismo imperante nei paesi di lingua tedesca, il che lo convinse a cercare lavoro in Italia, paese completamente esente da ogni tendenza antiebraica. E nell’intento di trovare un lavoro in Italia si rivolse a Michele Angelo Besso, con cui rimase amico fino al 1955, anno della morte dell’uno e dell’altro. L’amicizia tra i due nacque quando Einstein studiava fisica a Zurigo, mentre Besso era un ingegnere. Come Einstein, Besso apparteneva ad una famiglia ebraica del ceto medio che, dopo aver girovagato per l’Europa, si era stabilita in Italia. Più anziano di sei anni rispetto ad Einstein, si era diplomato anche lui all’ETH. Col passare degli anni: Besso e Einstein si scambiarono 229 lettere, in una delle quali Einstein dichiara “Nessun altro mi è vicino, nessuno mi conosce così bene, nessuno è così ben disposto verso di me quanto lo sei tu”. Besso aveva una “deliziosa” intellettualità, ma, rispetto ad Einstein, mancava di focalizzazione, di spinta, di tenacia: Come Einstein, fu invitato ad abbandonare il Liceo per il suo atteggiamento insubordinato. Einstein lo chiamava “terribilmente debole….incapace di eccitarsi per nessuna iniziativa nella vita o nella ricerca scientifica, ma una mente estremamente fine, il cui lavorio, sebbene disordinato, io riguardo con grande ammirazione”. Da quello che io ho potuto personalmente desumere dallo studio dell’Opera Omnia (Gesammelte Schriften) di Einstein, “nessuna” sua grande scoperta o invenzione è mai giunta alla completa formulazione senza essere stata ampiamente dibattuta con Besso, o addirittura ispirata o indirizzata per il verso giusto da lui. Einstein aveva presentato Besso ad Anna Winteler in Aarau, e i due si sposarono. Ebbene, passando qualche ora di ricerca su internet, sono riuscito a trovare una fotografia di Besso ed Anna Winteler, in pessimo stato di conservazione, al limite della pubblicabilità, ma d’altra parte l’unica disponibile in tutto il mondo. Questa foto appartiene all’archivio fotografico di Emilio Segrè, uno dei “Ragazzi di via Panisperna”, anch’esso, come Enrico Fermi, vincitore del premio Nobel, un tivolese la cui famiglia era in qualche relazione con la famiglia di mio padre, ed accanto al quale mi sono trovato seduto in un paio di seminari tenuti all’Istituto di Fisica dell’Università di Roma (con Rasetti ho scambiato foto di flora alpina ed Amaldi l’ho avuto come professore). A sua volta l’archivio fotografico di Emilio Segrè appartiene all’archivio fotografico di Niels Bohr, e quest’ultimo appartiene all’AIP, American Institute of Physics. Un bel ginepraio, un labirinto percorso faticosamente, per avere il vanto di essere forse l’unico giornale italiano ad aver mai pubblicato la foto del più grande amico e maggior collaboratore di Albert Einstein. Devo infine riconoscere che la fatica della ricerca non è stata tanto quella di reperire la foto, ma quella di verificare che in circolazione non ce ne fossero altre.

Besso e Anna Winteler,sorella di Marie

Besso e Anna Winteler, sorella di Marie

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migliori oppure, al limi-te, persino anche peg-giori, purché… Ebbe-ne, Besso aveva amicizie, conoscenze e parentele in Italia, per cui Einstein sperava che gli potesse essere utile. Ed in effetti suo zio era professore di matematica al Politecnico di Milano, ed Einstein contava di ottenere una presentazione. “Lo prenderò per il collo e lo trascinerò da suo zio. Dopo ci penserò io a parlare”. Soffermiamoci un istante su questa frase: è l’unica che stabilisce incontrovertibilmente che Albert Einstein sapeva l’italiano, anche se, come prova indiretta, c’è la sua lunga residenza ed i suoi viaggi in Italia. È questo il momento in cui Einstein è più vicino all’Italia, per lavorare, per dimorarvi, e forse diventarne cittadino. Besso infatti riuscì a persuadere lo zio a scrivere diverse lettere di raccomandazione, ma non ne sortì niente di positivo, ed Einstein passò il 1901 a caccia di supplenze e di lezioni private. Ma fu l’altro suo grande amico di Zurigo, il compagno d’Università, Marcel Grossmann, colui che prendeva gli appunti, a determinare il destino di Einstein, trovandogli un posto di lavoro, anche se non era quello che si aspettava. Proprio quando Einstein cominciava a cadere in preda alla disperazione, Grossmann gli scrisse avvertendolo che di lì a poco si sarebbe aperta un’opportunità per entrare come perito esaminatore all’Ufficio Federale dei Brevetti, a Berna. Il padre di Grossmann conosceva il direttore dell’Ufficio, ed avrebbe raccomandato Einstein. “Sono rimasto profondamente commosso per la tua compassione e devozione, che non t’hanno fatto dimenticare il tuo amico sfortunato”, rispose Einstein. “Sarei ben felice di ottenere quel posto, e ti assicuro che farò ogni sforzo per esser degno della tua raccomandazione”. Ci sarebbe voluto chissà quanto tempo perché quel posto si rendesse disponibile e fosse emesso il bando d’assunzione. E così accettò una supplenza d’un paio di mesi, presso il Technikum di Winterthur, in sostituzione di un insegnante richiamato al servizio militare. Bene, benissimo, ma che rabbia dover insegnare Geometria Descrittiva, una delle materie che più gli erano antipatiche. E con queste favorevoli prospettive che lo riportavano in Svizzera, la probabilità di un Einstein italiano svanì completamente. Ma a riallacciare i rapporti con l’Italia ci fu l’aiuto che Ricci Curbastro e Levi Civita gli fornirono per la messa a punto della Relatività Generale.

Il viaggio a Como                      
Ad aprile del 1901 Einstein è ancora a Milano. I diverbi con la famiglia che non vuol saperne di Mileva l’hanno reso irritabile, le nuove prospettive lo stanno raddolcendo. Per farsi perdonare da Mileva (con cui è in continua corrispondenza) le scrive una lettera esaltata, invitandola a venire a Como, ove passeranno giornate incantevoli in quel lembo di paradiso che si rispecchia su un lago incantato. Lei non si fa pregare, il viaggio è combinato, lui la va a prendere alla stazione, passeggiano per il centro storico della città, prendono un bianco vaporetto che fa la spola tra le rive del lago, visitano villa Carlotta, ammirano il Cupido e Psiche del Canova (lasciandosene suggestionare), ammirano le cinquecento varietà di piante che adornano il parco. Il giorno dopo devono rinunciare al progetto di oltrepassare il confine con la Svizzera perché ci sono sei metri di neve. Indubbiamente qualche altra cosa avranno fatto, perché lasciano la città felici, contenti e soddisfatti. Chissà quale magia avrà esercitato Como a quei tempi, che dai resoconti pare essere stata la città degli sposini. Per mio conto so che hanno fatto il viaggio di nozze a Como i nonni di mia moglie, i genitori di mia moglie, i miei genitori……Ed in un certo senso anche Albert e Mileva hanno fatto un viaggio di nozze, perché Mileva, a stretto giro di posta, fa sapere ad Albert di essere incinta. Benché i due abbiano accolto la notizia con entusiasmo ed eccitazione, il fatto va tenuto sotto assoluto silenzio. Quello che mamma Einstein temeva era accaduto, e quindi la famiglia non doveva sapere. Né un aspirante ad un impiego di stato poteva permettersi un simile scandalo (quello di allevare un figlio illegittimo). Una coppia comune poteva frettolosamente sposarsi, ma in casa Einstein questo non era il caso. Alla vigilia della nascita di quella che sarà la loro figlia Lieserl (Lisetta), Einstein è apprensivo e premuroso. In una lettera raccomanda alla futura madre di allattare la figlia (sono entrambi sicuri che sarà una femminuccia) con il proprio latte, e di non

Scorcio del Lago di Como (pittrice Eliana Brambilla)

Scorcio del Lago di Como (brambillaeliana.wordpress.com)

dargli latte  di mucca, se non quella diventa scema (lettera di Einstein a Mileva datata 7 luglio 1901). Dun- que, mentre Einstein andava a Winterthur per la sua supplenza al Liceo Tecnico detto Technikum, ed anche Scuola per Ingegneri, Mileva se ne tornava a Zurigo (i due non potevano farsi vedere insieme). Durante la gravidanza si preparava a ridare l’esame di diploma all’ETH, e fu di nuovo e definitivamente bocciata: evidentemente il carico di tensioni e preoccupazioni, più certi disturbi e complicazioni connessi alla gravidanza, ed anche la lontananza da Albert, non le avevano consentito di prepararsi a dovere. Svaniva così il suo sogno di percorrere una carriera scientifica, ma avrà la soddisfazione (temporanea) di essere la moglie dello scienziato più famoso del mondo. Uno dopo l’altro, passavano i mesi e le autorità competenti non davano ancora il via libera alla nomina di un nuovo perito all’Ufficio Brevetti, ed Einstein doveva arrangiarsi per trovare qualche lavoro. Terminato l’impegno col Technikum di Winterthur, si trasferì a Sciaffusa per prendere un impiego in una scuola privata, in cui il suo compito era quello di far lezione ad un ricco studentello la cui famiglia versava all’istituto 4.000 franchi l’anno, di cui 150 mensili passavano ad Einstein, accanto alo vitto e all’alloggio. Ad Einstein non andava giù il fatto di dover mangiare a mensa con loro, e chiese che il vitto gli fosse pagato a parte. Tentò anche di dissuadere la famiglia di seguitare a tenere il figlio in quella scuola, e consigliò loro di portarlo a Berna, dove Einstein si sarebbe preso interamente la sua cura. Queste sue richieste andarono entrambe a monte, e, avendo litigato come di prammatica col direttore della scuola, quella sera si apprestò a consumare la sua ultima cena prima di andarsene. Si sedette al suo posto, e, prendendo il tovagliolo, vide che vi era posata una lettera: era la lettera con cui Grossmann gli annunciava la delibera per il posto all’Ufficio Brevetti.

L’impiegato
L’annuncio ufficiale dell’apertura di un posto all’Ufficio Brevetti apparve a dicembre di 1901. Sembra proprio che il direttore di quell’ufficio, Friedrik Haller, abbia redatto il bando d’assunzione su misura per Einstein. I candidati non erano tenuti ad avere il titolo di “Dottore”, ma dovevano avere una certa pratica di Meccanica e conoscere la Fisica. Immediatamente Einstein scrisse a Mileva: “Haller ha inserito queste clausole apposta per me”. In effetti Haller scrisse anche un’amichevole missiva ad Einstein dichiarando apertamente che lui era il candidato numero uno, e Grossmann si fece subito vivo per congratularsi col suo amico. In anticipo sulla data di entrata in servizio, alla fine di gennaio del 1902 Einstein si trasferì a Berna, e pochi giorni dopo Mileva, ritiratasi presso i suoi familiari a Novi Sad, partorì con grande dolore la bambina Lieserl, e fu il padre di lei a darne l’annuncio ad Einstein. Questa nascita fu tenuta segreta, e tutta la corrispondenza ad essa relativa fu distrutta. Rimasero in vita solo poche lettere, che furono scoperte nel 1986, cioè quasi un secolo dopo. Prima di quella data nessuno sapeva dell’esistenza di Lieserl e nessuna biografia anteriore la menziona. Queste lettere furono scoperte da John Stachel, dell’Einstein Papers Project, mischiate in mezzo ad una collezione di 400 lettere di famiglia depositate, in California, nella cassetta di sicurezza di una banca, dalla seconda moglie del figlio di Einstein Hans Albert, la cui prima moglie le aveva portate in America dopo essere venuta a Zurigo a riordinare la casa di Mileva, nel 1948, dopo la morte di costei. Il padre non vide mai la bambina e nessuno sa che fine abbia fatto. In quel di Berna, in attesa di cominciare a lavorare, e quindi di percepire il suo primo stipendio, Einstein sentiva il naturale bisogno di guadagnare qualche cosa, e così apparve sul giornale il seguente annuncio: “Lezioni private di Matematica e Fisica…impartite con estrema cura da Albert Einstein, titolare del diploma d’insegnamento del Politecnico Federale…Lezione di prova gratuita”. Questa inserzione ebbe esiti impensati, ma per il momento parliamo d’altro. In attesa di entrare in servizio, Einstein fece amicizia con un impiegato di quell’ufficio, il quale gli confidò che il lavoro era molto noioso, e gli fece notare che il posto destinato ad Einstein era d’infimo rango, e che si meravigliava che qualcuno ambisse di averlo. “Certa gente trova noiosa qualsiasi cosa” scrisse a Mileva (che era tornata a Zurigo, ovviamente senza la bambina, affidata a chissà chi). Ebbene, molte biografie superficiali hanno malgiudicato il lavoro di Einstein all’Ufficio Brevetti, ed io stesso, prima di studiare più profondamente la vita di Einstein, raccontavo, e lo credevo veramente, che Einstein all’Ufficio Brevetti non aveva niente da fare tutto il giorno, che era malpagato, che si annoiava, che era umiliato dal fatto di non avere accesso al mondo accademico, ed aveva inventato la Relatività come un passatempo, una reazione alla noia. Niente di più sbagliato: Einstein entrò in servizio, finalmente, il 16 giugno 1902, quando una seduta del Consiglio Federale Svizzero lo elesse ufficialmente: “Perito Tecnico di 3a Classe dell’Ufficio Federale per la Proprietà Intellettuale con uno stipendio annuo di 3.500 franchi”. Capperi! Tanto per cominciare lo stipendio era superiore a quello di un professore all’inizio della carriera. Il lavoro era  molto  interessante, ed  Einstein, in

La Torre dell'Orologio, prossima all'Ufficio Brevetti

Berna: Torre dell’Orologio, prossima all’Ufficio Brevetti

ufficio, lavorava ai suoi articoli scientifici solo perché era tanto bravo da sbrigare il lavoro giornaliero in un paio d’ore o poco più. L’Ufficio Brevetti si trova nei pressi della Torre dell’Orologio, un’attrazione turistica della città di Berna, che serviva da orologio di riferimento per le stazioni ferroviarie viciniori. Allo scopo di estendere il campo di sincronizzazione con Berna, tra le molte richieste di brevetto che arrivavano giornalmente all’ufficio, molte riguardavano procedure e dispositivi per trasmettere l’ora di riferimento dell’Orologio della Torre in località sempre più distanti, e questo era proprio il problema centrale della teoria della Relatività Ristretta. In quell’ufficio Einstein, nonché annoiarsi, trovava geniale ispirazioni. Einstein aveva una pila di suoi appunti sulla sua scrivania, che lasciava scivolare in un cassetto all’arrivo di qualche visita. Ma quando nella sua stanza entrava il direttore Haller, non aveva bisogno di nascondere i suoi fogli. Haller capiva e condivideva.

L’accademia Olimpia
Maurice Solovine, uno studente romeno di filosofia all‘Università di Berna, comprò il giornale mentre girovagava senza meta, godendosi le vacanze di Pasqua dell’anno 1902, e notò l’annuncio di Einstein, specie il cenno alla lezione di prova gratuita. Solovine era di quattr’anni più anziano di Einstein, ma ancora doveva decidere se diventare un filosofo, un fisico, o qualcos’altro. Si recò subito all’indirizzo indicato. Discussero per più di un paio d’ore, poi scesero in strada e chiacchierarono ancora, prendendo un appuntamento per l’indomani. A questo punto chi ha mai letto un libro di Sir Pelham Grenville Woodehouse, l’autore umoristico inglese di quei tempi, crederà di leggerne un altro: alla terza lezione Einstein annunciò al suo allievo che era molto più divertente conversare liberamente che non effettuare lezioni a pagamento. Disse: “Voi non avete bisogno di prendere lezioni di fisica. Quando volete venite da me ed io sarò ben lieto di parlate con voi”. Decisero di leggere insieme le opere dei grandi pensatori e di discutere le loro idee. Ai loro incontri si aggiunse Conrad Habicht, figlio di un banchiere ed ex studente di matematica al Politecnico Federale di Zurigo. Ad imitazione delle pompose istituzioni culturali fondarono l’ “Accademia Olimpia” e nominarono loro presidente Albert Einstein, che era il più giovane di tutti: Solovine preparò il certificato d’investitura, disegnando anche il busto di Einstein, incoronato da una fila di salsicce e vergando la dedica: “Un uomo dall’erudizione perfetta e cristallina, dall’ingegno squisito, sottile ed elegante, imbevuto della rivoluzionaria scienza del cosmo”. I tre consumavano pasti frugali: salsicce, groviera, frutta e tè, ma per il compleanno di Einstein gli fecero trovare persino il caviale. Einstein lo mandò giù, una cucchiaiata dopo l’altra, senza neanche accorgersene, impegnato com’era a spiegare il principio d’inerzia galileiano. Quando gli domandarono se sapeva che cosa aveva mangiato, e glielo dissero, egli rispose: “Così questo sarebbe il famoso caviale? Sappiate che per un paesano come me è completamente sprecato!”. I tre discutevano anche tutta la notte per approfondire un tema, ed alla fine della riunione Einstein tirava fuori il suo violino e suonava per loro. L’intelligenza collettiva di questo gruppo era infinitamente maggiore della somma delle loro intelligenze individuali. Einstein guadagnò da questo simposio di giovani menti infinitamente di più degli onorari che divisava di percepire quando pubblicò il suo annuncio. Eppure, di quegli onorari non riscossi aveva un estremo bisogno! La loro amicizia e la loro mutua collaborazione durarono fino alla fine delle loro vite. Accanto a Michele Angelo Besso e a Marcel Grossmann, Maurice Solovine e Conrad Habicht sono contitolari della gloria di Einstein. Ma Hermann Einstein, il papà di Albert, non vide la gloria di suo figlio elevarsi al di sopra dello stato di perito di terza classe dell’Ufficio Federale dei Brevetti. Nell’ottobre del 1902 la sua salute peggiorò, ed Einstein corse a Milano per assisterlo nelle sue ultime ore. In punto di morte Hermann Einstein diede al figlio il consenso alle sue nozze con Mileva. Hermann Einstein riposa nel Cimitero Ebraico di Milano.

Accademia Olypia: Conrad Habicht, Maurice Solovine, Albert Einstein

Accademia Olimpia: Conrad Habicht, Maurice Solovine, Albert Einstein