Shirley Temple: Riccioli d’Oro e Madre Coraggio

Di Marino Mariani

Ricordiamola così, a sedici anni

Ricordiamola così, a sedici anni

Il cancro al seno è la più terribile tragedia che possa abbattersi sulla donna, che la prostra, la offende e la annichilisce non solo fisicamente, ma la lascia moralmente disfatta, inebetita e abbandonata. Sopravvivere al cancro è un miracolo pagato a caro prezzo: quanto si è perso nelle funzioni vitali più non ritorna, e più non ritorna un pezzo d’inestimabile valore dell’avvenenza femminile. Queste cose, oggi, le sanno tutti, ma al tempo mio (sono nato nel 1929) non le sapeva nessuno, perché il fenomeno era raro, e per riserbo e pudore veniva tenuto a riparo da un muro di silenzio. Poi, nel breve lasso di pochi decenni, il cancro si è diffuso a macchia d’olio. Non era più un mistero l’esistenza di questo male, se ne sussurrava per ogni dove, finché il riserbo ufficiale fu infranto da una clamorosa pubblica dichiarazione resa di fronte alle telecamere della TV dalla donna più famosa del mondo: Shirley Temple, l’irresistibile “Riccioli d’Oro” degli anni trenta, la bambina che per diversi anni consecutivi capeggiò la classifica degli incassi di Hollywood. Nel 1972 le fu diagnosticato il cancro al seno. Il tumore fu rimosso e gli fu praticata una “modified radical mastectomy”, termine che non oso tradurre. In seguito all’operazione, ne fece l’annuncio a tutto il mondo via radio, televisione ed in un articolo apparso a febbraio 1973 sulla rivista McCall’s In un’intervista pubblicata sul sito web dell’American Cancer Society, l’attrice Barbara Barrie ha dichiarato:

Barbara Barrie

Barbara Barrie

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Shirley Temple è stata la prima persona a dire sulla televisione nazionale “Io ho avuto un tumore al seno”. Non è stata Betty Ford (moglie del presidente Gerald Ford), ma Shirley Temple, una delle più grandi star che il mondo abbia mai avuto. Inoltre, lei fu così coraggiosa in quanto la gente non diceva mai “cancro” e non diceva mai “seno” in pubblico. Lei l’ha detto. La gente non se lo ricorda, ma lei lo ha fatto.

Barbara Barrie è stata (ed è) un’insigne attrice e scrittrice, studiosa al punto da conquistare diverse lauree universitarie. Nel 1994 le fu diagnosticato un cancro. Fu operata con successo e descrisse questa sua esperienza in un libro di memorie intitolato: “Second Act: Life After Colostomy and Other Adventures”. Dopodiché fu in continuo contatto con l’American Cancer Society, alla quale rilasciò numerose interviste. Evidentemente la Society sentiva l’importanza della testimonianza di una donna di quel formato, che proclamava a tutte le donne del mondo a “Mai perdersi di coraggio!”. Tutte queste interviste sono riportate su internet e dotate di un relativo “abstract” (sunto). Da parte mia, il 23 aprile del 2011, nella vecchia serie di Famiglia Moderna, essendo il giorno del suo 83mo compleanno, pubblicai l’articolo: “Tanti auguri, Riccioli d’Oro” che sarei tentato di riproporre tale e quale. Ma “la conoscenza obbliga”, e non posso far finta di ignorare che, nel frattempo, la cara bambina si è trasferita in Paradiso, e che il contesto dell’articolo attuale è quello della maggior calamità che possa abbattersi sull’essere femminile. Perciò ripubblico quell’articolo ma non tale quale bensì con le opportune varianti.

Riccioli d’Oro
Il 23 aprile 1928, e cioè un anno e cinque giorni prima di me, nasceva a Santa Monica di California Shirley Temple, la bambina prodigio che negli anni 30, gli anni della Grande Depressione americana, deliziò grandi e piccini di tutto il mondo, facendoli ridere con le sue risatine, e facendoli piangere con le sue lacrime. E commuovendoli tutti con le sue vicende di orfanella, di povera milionaria misconosciuta e maltrattata, che anche nelle situazioni più tragiche e senza speranza, manteneva la sua fiducia nella giustizia e nella lealtà e mai abbandonava la sua speranza, la sua certezza in un destino migliore. Shirley Temple era un’attrice d’incredibile abilità scenica, una volpona della recitazione.

La madre creò i  56 boccoli che lucidava e avvolgeva ogni giorno

La madre creò i 56 boccoli che lucidava e avvolgeva ogni giorno

In gergo, parlando di grandi attori o artisti lirici, si cita il termine di animali da palcoscenico, e Shirley Temple va annoverata tra i maggiori animali dello schermo cinematografico, accanto a Charlie Chaplin, a Walt Disney e….non saprei dire altri. I suoi compensi erano maggiorissimi (!) di quelli di Greta Garbo, e pare che solo Cary Grant guadagnasse di più. Ma va tenuto conto che la sua carriera di stella del botteghino si spense improvvisamente a 12 anni, col suo ultimo successo The Little Princess (La Piccola Principessa). Naturalmente ci furono successive sporadiche apparizioni, alcune delle quali sono sicuramente degne di menzione, ma il tornado Shirley Temple finì lì. Come, dove, perché? Shirley Temple era figlia del funzionario di banca George Francis Temple e di sua moglie Gertrude Amelia Krieger, casalinga. I genitori di Shirley erano di origini tedesche, olandesi ed inglesi. Al tempo della nascita di Shirley, erano già nati due suoi fratelli: John Stanley e George Francis jr. La madre, qui o là in internet ho letto che aveva avuto precedenti teatrali, o per lo meno ambizioni andate deluse, e tali ambizioni riversò sulla figliolina gioiello. In effetti, la madre, oltre ad aver dato alla luce la bambina Shirley, fu la creatrice del fenomeno interplanetario di Shirley Temple “Riccioli d’Oro”. Fu estremamente intelligente, perché a tre anni la mandò alla Menglin’s Dance School di Los Angeles ad imparare il ballo, il canto e la recitazione. Poi la fece scritturare alla Educational Pictures, una società che produceva men che mediocri filmetti di bambini, da una o due bobine (che era una misura americana per denotare cortometraggi e lungo metraggi) col patrocinio di società produttrici di cereali e merendine. Nel 1933 la Educational Pictures provvidenzialmente fallì e la piccola Shirley firmò per la Fox Films. Da questo momento apparve in piccole parti e, sempre per piccole parti, veniva prestata alla Paramount e alla Warner Bross. Ma nel frattempo la mamma di Shirley aveva creato il suo capolavoro: Shirley aveva i capelli castani e lisci, e la madre trasformò la sua testolina in una selva di riccioli biondi, e cioè in 56 boccoli che ogni mattina pettinava, avvolgeva e lucidava. La bambina così cosmetizzata era diventata assolutamente irresistibile. Più della maestosa Mae West, più della misteriosa Marlene Dietrich. In pratica la madre aveva trasformato la sua bambina in una piccola Mary Pickford, la fidanzata di tutti, l’attrice amata in tutto il mondo non solo dagli uomini d’ogni età, ma da tutte le madri che si auguravano questa moglie per i loro figli. In aprile del 1935 il film “Stand up and Cheer!” ruppe gli argini: la Fox riconobbe il fascino di Shirley e cominciò a pubblicizzarla prim’ancora dell’uscita del film nelle sale, ed in breve la bambina divenne il simbolo del sano intrattenimento di tutte le famiglie. Il suo compenso balzò a 1.250$ la settimana e sua madre ebbe anch’essa 150$ come pettinatrice di sua figlia. Cifre enormi,

Mary Pickford, la fidanzata di tutti

Mary Pickford, la fidanzata di tutti

perché il dollaro di quei tempi valeva esattamente mille volte di più del dollaro di adesso, e ciò vale per tutte le valute del mondo. A quel tempo il New York Herald Tribune pagava 1.500$ gli articoli mensili di Margherita Sarfatti firmati da Mussolini, mentre un giornalista professionista guadagnava circa cento volte meno. Un disegnatore impiegato presso la Walt Disney nel 1940 prendeva 17$ settimanali. Il 28 dicembre 1934 uscì nelle sale il film “Bright Eyes”, che fu il primo film girato su misura per Shirley Temple, ed in cui il suo nome appariva sopra il titolo del film. Questo è il punto dove volevo arrivare: dopo i primi esperimenti, i cineasti si convinsero che la bambina non andava inquadrata in una routine prestabilita. Era talmente brava, talmente esperta che la cosa più intelligente da fare era quella di lasciarle fare le cose che le venivano per istinto, e di costruire una trama attorno ad esse. In Italia non si è mai avuta un’idea delle vere dimensioni della Grande Depressione americana, detta anche crisi del 1929, o grande crisi, o anche crollo di Wall Street. La crisi, comunque, è associata al crollo della borsa valori di Wall Street del 24 ottobre 1929 (giovedì nero), cui fece seguito il definitivo crollo di borsa del 29 ottobre (martedì nero). In Italia il regime fascista, autoritario e dichiaratamente anticapitalistico, non trovò difficoltà ad imporre immediate contromisure a tale disastro per evitare l’assalto agli sportelli bancari e la chiusura delle fabbriche. In America, invece, l’intonazione liberistica ad oltranza della loro Costituzione, impediva l’attuazione immediata di provvedimenti governativi, per cui la crisi, oltre che ad assumere dimensioni catastrofiche, si protrasse nel tempo e fu provvista di efficaci dispositivi di difesa solo a seguito dell’elezione, nel 1933, del presidente Franklin Delano Roosevelt. Era il cosiddetto “New Deal”. Shirley Temple, assieme ad altri valorosi attori di Hollywood, fu chiamata ad infondere ottimismo negli strati popolari, in modo da aiutare la ripresa dalla crisi. La quale bambina di Hollywood accanto alla sua valutazione puramente artistica, acquisì anche una caratura istituzionale: fu lei a consegnare la statuetta dell’Oscar a Walt Disney per Biancaneve, assieme alle sette statuette in miniatura in rappresentanza dei sette nani. E fu accanto al produttore Darryl F. Zanuck nel ricevere a Hollywood Vittorio Mussolini per trattare la produzione di film

Shirley accoglie ad Hollywood Vittorio Mussolini

Shirley accoglie ad Hollywood Vittorio Mussolini

americani a Cinecittà. In onore di Shirley Temple in Italia fu prodotta una bambola Lenci che la riproduceva in tutto lo splendore dei suoi Riccioli d’Oro. Naturalmente tutto il resto del mondo era già pieno di oggetti del merchandising attorno a Shirley Temple: vestitini, pigiamini di seta, saponette, giocattoli e bambole. Ma le bambole Lenci erano un’altra cosa. Fatte né di coccio, né di celluloide, né di pezza, bensì di un panno di feltro toscano di nome “Casentino”, più frequentemente detto, però, “Panno Lenci”. Erano bambole modernissime, di taglio spigliato e avveniristico, molte delle quali disegnate dal pittore Marcello Dudovich. Possedere una bambola Lenci era un vero tratto distintivo, un lusso che pochi potevano permettersi. Mio padre non poté comprarsi la Fiat Topolino quando costava 6.000 Lire, però riuscì a regalare una “Bella Spagnola” a mia sorella maggiore Valeria. A dodici anni abbandonò la carriera di bambina prodigio: il pubblico che l’aveva osannata, cominciò a mostrare una crisi di rigetto. Per l’irrigidimento tra le rispettive case produttrici, il posto di protagonista de “Il mago di Oz”, le fu soffiato da Judy Garland. Comunque, la bambina e il suo stato maggiore si resero conto di aver avuto dal cinema tutto il possibile, mille volte di più di quanto osassero sperare agli inizi, e tranquillamente si prepararono alla transizione. Si diede alla politica, partecipò alle contese elettorali a fianco del Partito Repubblicano, ma la sua carriera si svolse essenzialmente nel settore della diplomazia: ricoprì cariche importantissime come rappresentante USA alle Nazioni Unite e di ambasciatrice prima in Ghana e poi, nel periodo più caldo della guerra fredda, addirittura a Praga. Shirley sedette nel consiglio d’amministrazione d’importanti istituzioni e società, come The Walt Disney Company, Del Monte, Bank of America, The Bank of California, Bancal Tri-State, Fireman’s Fund Insurance, The United State Commission for UNESCO…In diverse società, Shirley Temple rappresentava l’azionista di riferimento. In Bank of America sedeva al fianco di Amedeo Giannini, l’italiano suo fondatore e presidente, che nel 1933 aveva finanziato la campagna elettorale di Franklin Delano Roosevelt e subito dopo aveva salvato dal disastro Walt Disney travolto dai costi di produzione di Biancaneve e i Sette Nani. Da una parte tutti chiedevano i soldi alla Bank of America, dall’altra fiumane torrenziali di dollari entravano in banca per mano di Shirley Temple che fu in testa alle statistiche degli incassi nel 1935, 1936, 1937,

Judy Garland fu una vera piccola  grande attrice

“Il Mago di Oz”: Judy Garland fu una vera piccola grande attrice

1938, salvo “precipitare” al quinto posto nel 1939, quando anche il centesimo posto in quella classifica bastava ad assicurare una vita da nababbi. Con tale curriculum, per la bambina fu impossibile sottrarsi ad un ineluttabile destino: quello di diventare una delle donne più ricche del mondo. Allo spirare della sua carriera cinematografica aveva già incassato tre milioni di quei dollari che allora valevano mille volte più di quelli d’adesso. Ci furono, naturalmente, diverse sporadiche apparizioni, più che altro tese a favorire gli inizi della carriera cinematografica della sua nuova fiamma: il militare John Agar, che sposò all’età di diciassette anni. Nelle foto delle nozze Shirley appare non meno alta ed assai più bella delle sue damigelle d’onore. Fu subito madre di una bella bimba, ma il suo matrimonio non durò fino al quint’anno perché, nel frattempo, John Agar mise in luce la sua vera vocazione, quella dell’ ubriacone! Nello stesso anno del divorzio avvenne un episodio che, stando al calcolo delle probabilità, non doveva assolutamente accadere, ed invece…Charles Alden Black era di stanza ad Honolulu in qualità di funzionario della Dole Hawaiian Pineapple. Alla noia delle pratiche d’ufficio preferiva esercitare il surfing sulla sua tavola di kapok e mogano. Quel giorno era al telefono con un amico e disse che aveva ricevuto l’invito ad un cocktail, ma voleva sapere come erano le condizioni del mare. L’ufficio dell’amico aveva un’ampia vista sull’oceano, e perciò gli rispose di andare al cocktail perché l’acqua era liscia come un olio e senza alcuna traccia di spuma. Charles ignorava completamente che Shirley Temple fosse una stella del cinema e non aveva visto nessun dei suoi film. “Quando mi fu presentato – ricorda Shirley – mi domandò: ‘Che cosa fate di bello, siete una segretaria?’ Risposi che non sapevo neanche battere a macchina e che invece facevo film”. Anche lei non sapeva nulla di lui, ed in tale condizione di perfetta parità si sposarono immediatamente, e questa volta fu per sempre. La loro unione matrimoniale durò cinquantacinque anni, cioè finché lui non morì all’età di ottantasei anni, e durante questo periodo non stettero lontani l’un l’altro se non per brevissimi intervalli di tempo. La carriera di lui è talmente incredibile da dover essere presa per buona per il solo fatto di essere vera. Era nato con il volto di simpatica canaglia, sul tipo di Clark Gable, ma più bello, più disteso, non così ammiccante e quindi più credibile. Costituzionalmente era il classico uomo d’azione, che però formò la sua cultura con

A diciassette anni, le nozze con John Agar

A diciassette anni, le nozze con John Agar

anni ed anni passati all’ombra di una “Alma Mater” illustre quanto la Stanford University e poi, per rinforzo, alla Harward Business School. Se andate a consultare su internet la classifica delle migliori Università del mondo, costantemente troverete ai primi due posti Harward e Stanford e ciò, anno per anno, da molti anni. Di queste Università, Charlie Black non fu semplicemente “Alunno”, ma in breve entrò nel rango dei docenti e, meglio ancora, in quello degli “Executives”. All’atto pratico, questo dinamico giovanotto, che cosa fece nella vita? Entrò in Marina nel 1941 ed in quest’arma prestò servizio durante la 2a Guerra Mondiale, nel Sud Pacifico, come ufficiale addetto alle informazioni, e riassunse la stessa carica allo scoppio della guerra di Korea. Alla fine di questa guerra aveva raggiunto il grado di “Lieutenant Commander”. Tra il 1952 e il 1957 fu “Executive” allo Stanford Research Institute, ed ebbe la stessa carica tra il 1957 e il 1965 presso la Ampex Corporation. Nel corso degli anni 60 gravitò nel campo di ciò che si dimostrò lo scopo principale della sua vita: l’acquacultura e l’oceanografia, settore in cui intraprese numerose iniziative di carattere industriale. Infine prestò servizio come consulente in questioni marittime e fu nominato “Reggente” della Santa Clara University. Non dimentichiamoci che nel 1972, nel pieno della sua attività finanziaria e diplomatica, a Shirley fu diagnosticato il cancro al seno con conseguente intervento chirurgico. In tutte le biografie correnti questo episodio di capitale importanza nella vita di una donna, passa praticamente inosservato perché, in effetti, non provocò la minima pausa, il minimo rallentamento nel ritmo narrativo. Secondo me ciò accade in quei fortunati casi in cui la donna si sente assolutamente presidiata da un legame affettivo invincibile ed oblitera in sé ogni forma di angoscia e d’incertezza, mentre tutto il suo organismo è fidente di recuperare celermente il pristino stato di beatitudine. “Come le acque del vecchio stagno, increspate dal tuffo della rana, poi si chetarono e il vecchio stagno riprese a rispecchiar la Luna piena”, parafrasando un saggio di poesia zen. Ebbene, penso che la forza dell’amore di Charlie portò Shirley a “minimizzare” la portata dell’evento e puntare tutto sul ripristino della normalità. In effetti, la sua attività professionale non subì rallentamenti, proclamò di fronte alle telecamere del mondo le parole “cancro” e “seno”, e a stretto giro di posta fu spedita in Ghana come ambasciatore degli Stati Uniti d’America, tutt’altro che stordita e menomata. In chiave personale, anche nell’ambito della mia famiglia ho potuto assistere ad un episodio di cancro e di forza dell’amore. Mentre mia sorella Valeria ed io eravamo nati a stretto ridosso l’uno dall’altra, Cecilia venne alla luce molti anni dopo, e nell’ambito del nostro parentado divenne la beniamina di tutti col vezzeggiativo di “Ciccetto d’Oro”. Quando si seppe che era stata colpita dal cancro al seno, tutti fummo percorsi da un brivido d’orrore e di compianto, ma ella, in compagnia della sua zazzeretta arricciata e con tono spiritoso e quasi irrisorio, sembrava eludere il nostro conforto, preferendo affrontare da sola la ventura, con il suo piglio goliardico e scanzonato. In realtà Cecilia non affrontò da sola la sua vicenda, ma fu sostenuta da un invincibile vincolo d’amore con l’uomo della sua vita. Quando si conobbero, lui, un affermato medico pediatrico, era molto più anziano di lei ed aveva una famiglia con figli già grandi. Decisero di non creare scandali e

Shirley Temple e Charlie Black furono la coppia più felice del mondo

Shirley Temple e Charlie Black furono la coppia più felice del mondo

coltivarono la loro relazione in assoluta segretezza. Si amarono e si sostennero a vicenda con tenacia e tenerezza, e quando finalmente Cecilia ci confidò la sua storia e ci fece conoscere il suo amato bene, potemmo constatare che il loro era un amore senza pari. Cecilia aveva affrontato lunghi mesi di crudele chemioterapia col sorriso sulle labbra, sfoggiando la sua chioma sale e pepe, che in realtà era una parrucca vegetale, dato che i farmaci e i trattamenti avevano divorato la sua capigliatura naturale.

La vera Shirley Temple
Per tutta la durata del suo impero, finché il mondo la conobbe attraverso i fotogrammi ripresi alla luce del parco lampade della cinematografia, Shirley Temple fu una frenesia che pervase tutto il pianeta, che contagiò tutti come un’irrefrenabile epidemia. Qualcuno tentò di analizzare il fenomeno in termini oggettivi e…male gliene incolse! Riprendo da internet:

Non sempre il personaggio di Shirley Temple fu visto in una luce positiva. Nel 1937 il romanziere Graham Greene scrisse una recensione sulla rivista Night and Day sulla sua apparizione nel film “Alle frontiere dell’India” (Wee Willie Winkie, ispirato ad un racconto di Rudyard Kipling) in cui, riprendendo anche il giudizio di diversi critici precedenti, accusa deliberatamente gli ammiratori della Temple di pedofilia‪:‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬
“Il caso di miss Temple, tuttavia, è d’interesse peculiare: per lei l’infanzia è solo un travestimento, il suo appeal è più segreto e più adulto. Già due anni fa era un bel bocconcino (la sua infanzia, secondo me, si è conclusa con La piccola ribelle). In Capitan Gennaio indossa i pantaloni con la matura coscienza di una Dietrich: il sederino elegante e già ben sviluppato si dimena nel tip-tap, gli occhi in tralice ti cercano con maliziosa civetteria. Adesso, in Alle Frontiere dell’India, con quel gonnellino corto, è davvero uno schianto! Guardatela mentre corre tra le baracche indiane; ascoltate l’affannoso respiro di eccitazione dei suoi attempati spettatori quando il sergente la solleva in alto; osservate con che disinvoltura professionale squadra un uomo, con fossettine di depravazione. Sentimenti d’amore e di passioni adulte filtrano attraverso la maschera dell’infanzia, un’infanzia che è soltanto un velo. Tutto ciò è molto astuto, ma non può durare. Se i suoi ammiratori – signori di mezza età ed ecclesiastici – soggiacciono alla sua ambigua civetteria e alla vista del suo corpicino ben fatto e desiderabile, che trabocca di una smisurata vitalità, è solo perché la storia e la sceneggiatura alzano una barriera di sicurezza tra la loro ragione e il loro desiderio”‪.‬‬‬‬‬‬ Già negli anni precedenti Greene aveva recensito i film della Temple, talvolta lodandola (“non mi aspettavo un’energia così forte, che manca totalmente alle sue colleghe”) ma notando anche che “Shirley Temple danza con grande vigore e capacità, ma gran parte del suo successo le deriva da quella civetteria matura quasi quanto quella di Miss Colbert e da quel corpo stranamente sviluppato, così voluttuoso in pantaloni di flanella grigia come quello di Miss Dietrich”‪. Stavolta, però, i toni usati furono talmente eccessivi da causare uno scandalo: la madre di Shirley Temple e la casa produttrice lo denunciarono per diffamazione, e Greene fu accusato di perversione. La cosa ebbe notevole risalto sui giornali, costringendo Greene a fuggire dagli Stati Uniti, recandosi in Messico. La rivista Night and Day chiuse.‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬

Lo scrittore cattolico Graham Greene

Lo scrittore cattolico Graham Greene

Da quando sono nato, mi sento ripetere che l’America ha la Costituzione più liberale del mondo, ma anche la società più intollerante del mondo: Graham Greene era nel pieno diritto di lanciare il suo libello contro gli attempati e goderecci seguaci del formoso esserino. Altrettanto legittima fu la reazione indignata dell’intera popolazione che vide nel libello la profanazione di una sacra immagine. Non concordo, tuttavia, con l’impianto d’accusa costruito da Graham Greene. Quando ho rivisto, da grande, i film di Shirley Temple, ciò che mi ha immediatamente meravigliato fu la sapienza scenica manifestata dalla bambina. È come se il regista, o il capocomico, interpretasse personalmente la parte per dimostrare alla compagnia “come si fa”. Quanto alla civetteria, Graham Greene afferma in pratica che è un’arte riservata alla donna adulta, ed è abnorme che venga esercitata da una bimba “innocente”. È vero esattamente il contrario, e la civetteria è parte integrante dell’innocenza infantile, come è stabilito nel genoma autopoietico che costituisce il disciplinare della materia vivente, flora e fauna, in contrapposizione alla materia inerte, laddove afferma che la riproduzione e la continuità della specie avviene in quanto il genere femminile, che procrea e nutre, si coniuga col genere maschile. Voi pensate che la femmina di ogni specie vegetale e animale debba aspettare un’ulteriore convalida, o che, sin dalla nascita, non sia guidata dall’istinto che la porta ad ambire alla coniugazione? Purtuttavia il genere umano segue un altro disciplinare, quello che si è determinato in base agli usi e costumi invalsi da quando la preistoria si è trasfigurata nella storia, ragion per cui…Prima di abbandonare questo argomento, c’è una particolarità, nel libello di Graham Greene, che mi è sembrata paradossale, quando afferma “…e da quel corpo stranamente sviluppato, così voluttuoso in pantaloni di flanella grigia come quello di Miss Dietrich”. Non sapevo che esistesse il culto delle dive in pantaloni di flanella grigia, ma così è, perché alla voce “Marlene Dietrich”, su internet, appare una sezione fotografica specifica, intitolata “Marlene Dietrich Pants”, in cui figurano anche fotogrammi di un’altra diva in pantaloni: Katharine Hepburn. Ovviamente, io preferisco l’interpretazione di Miss Dietrich in “L’angelo azzurro”, non solo per l’esibizione di gambe e calze di seta, ma anche perché qui la diva, per la prima ed unica volta, recita col suo vero volto, quello di una giovane e prorompente ragazza berlinese, bella e sfrontata, ma non priva di un’arcana, quasi materna, intima dolcezza. Il libello di Graham Greene, in definitiva, per quanto opinabile, rimane pertinente. Al contrario, l’intervento degli autori Fruttero e Lucentini citato da una biografia in italiano, costituisce un delirante vaniloquio

Gli scrittori italiani Fruttero & Lucentini, in un articolo dal titolo “Heil Shirley!”, identificarono, sia pure ironicamente, le basi del successo della Temple come le medesime dei grandi dittatori coevi come Hitler: “Non c’è un rapporto diretto e dimostrabile tra Shirley Temple e Adolf Hitler, tra i riccioli d’oro e le camere a gas. Ma gli anni sono pur quelli e l’occhio del postero distingue ormai senza sforzo dietro il mostruoso dittatore urlante la mostruosa frugoletta che canta le sue canzoncine. Piacevano, piacevano entrambi, piacevano irrazionalmente, cultisticamente, totalmente. Entrambi pescavano in quella cupa palude dove la massima sdolcinatezza confina con la massima ferocia, e forse la provoca”. 

Franklin Delano Roosevelt, il presidente del "New Deal" e della fratellanza con Mussolini

Franklin Delano Roosevelt, il presidente del “New Deal” e della fratellanza con Mussolini

Secondo gli autori “…l’occhio del postero distingue ormai senza sforzo dietro il mostruoso dittatore urlante la mostruosa frugoletta che canta le sue canzoncine. Piacevano, piacevano entrambi, piacevano irrazionalmente…”. Cari e impagabili F&L, voi che creaste “La prevalenza del cretino”, quanto eravate scemi in proprio! Non è vero che Shirley Temple e Adolf Hitler piacessero entrambi: Shirley piaceva
a tutti in tutto il mondo, non irrazionalmente ma con affetto, fiducia, ammirazione…mentre Hitler non piaceva a nessuno, ma veniva considerato con rispetto…e sospetto. Le infamie di Hitler furono rivelate al mondo e ai tedeschi stessi solo dopo la sua morte. Gli aerei alleati avevano infinite volte sorvolato i campi di sterminio e li avevano ben individuati, ma preferirono tacere. Come d’altr’onde i Russi che, arrivati alle porte di Varsavia, si fermarono in attesa che i tedeschi finissero di sterminare gli insorti polacchi. Hitler veniva idolatrato in patria per una ragione ben più valida delle sue roboanti rivendicazioni: unico condottiero al mondo, durante tutta la durata della storia, era riuscito ad abbattere completamente la disoccupazione e dare conforto ed assistenza ad ogni ceto sociale. Celebri le sue crociere oceaniche per anziani, pensionati e disagiati, nonché i concerti nelle fabbriche diretti da Furtwängler. Tutto ciò non era riuscito a Mussolini, che pur era il beniamino mondiale ed era tesissimo a raggiungere questo traguardo. Il suo maggior cantore fu Winston Churchill, che lo designò ufficialmente come “Il maggior legislatore dei nostri tempi” e vedeva in lui il condottiero che avrebbe fatto rinascere l’antico impero di Roma. Quando era ormai già troppo tardi. Churchill inviò a Mussolini una lettera in cui lo scongiurava, addirittura lo implorava di non entrare in guerra, ma nell’ottobre del 1938 la Germania aveva effettuato l’annessione dell’Austria e tra Mussolini e Hitler era dunque sparita la rassicurante barriera delle Alpi, adesso Hitler era diventato un vicino di casa, anzi Mussolini se lo ritrovò suo coinquilino, stesso pianerottolo, alla porta accanto. Ma in Inghilterra Churchill era l’unico sostenitore di Mussolini: la maggioranza del paese era contraria a Churchill e al suo dittatore preferito. Al contrario, in America, dal Presidente al cittadino qualunque, tutti erano entusiasti di Mussolini e dell’Italia. Nel 1933, anno in cui furono eletti tanto Roosevelt in America quanto Hitler in Germania, Mussolini decise di celebrare il decennale della sua presa di potere a New York, la più grande città italiana nel mondo. Bandiere tricolori con lo stemma sabaudo sventolavano ovunque. Gli italiani giravano in camicia nera, in divisa da piccole italiane e d’avanguardisti. I giornali ululavano “Roosevelt and Mussolini must be brothers!” (Roosevelt e Mussolini siano fratelli!). I cento aviatori che avevano attraversato l’Atlantico in formazione serrata di 24 idrovolanti Savoia Marchetti furono letteralmente presi in ostaggio, nessuno voleva farli ritornare in patria e la città rimaneva incantata ad osservare quotidianamente le loro evoluzioni tra le cime dei grattaceli. Ad Italo Balbo venne riservata una “Street Parade” a Broadway senza precedenti. Successivamente Mussolini inviò in America la sua ambasciatrice Margherita Sarfatti, che venne selvaggiamente disputata dalle Università, dai centri culturali, e dall’alta società mondana, obbligata a quotidiane conferenze e banchetti in onore. I giornali l’avevano presentata come moglie di Mussolini, e l’etichetta ufficiale le aveva riconosciuto il rango diplomatico di “Regina”. Come “Regina d’Italia” fu accolta e affabilmente intrattenuta alla Casa Bianca da Franklin Delano Roosevelt e dalla Consorte Eleanor. Ma l’Italia tanto era fiera, dinamica e orgogliosa, quanto paurosamente povera. Mussolini non riuscì a trovare i soldi per pagare i debiti di guerra contratti con gli USA nella 1a Guerra Mondiale, e l’inflessibile società capitalistica americana impedì che l’orologio della storia invertisse il verso di rotazione delle sue lancette.

Sembra dire :Ricordatemi così: ero la figlia di tutti.

Sembra dire :Ricordatemi così: ero la figlia di tutti.

Conclusioni
Questo articolo inizialmente era intitolato “Il cancro al seno”. Credevo di avere tutto in mente, e contavo di poter scrivere l’articolo in breve tempo, ma l’esistenza di internet, col suo patrimonio di informazioni, provenienti da ogni parte del mondo, che ingigantisce istante per istante, è un perentorio invito ad allargare continuamente l’orizzonte ed approfondire la ricerca della verità. In definitiva anch’io pensavo, come tutti, che la storia di Shirley Temple si compendiasse nella storia di Riccioli d’Oro, la bambina prodigio, i cui guadagni erano stati così ingenti da poter vivere di rendita per tutto il resto della vita. In realtà la bambina divenne una fanciulla e poi una donna assolutamente normale, avvenente e intraprendente, senza alcun rimpianto verso il passato, che si distingueva dalla massa per la sua suprema intelligenza. A prescindere dalla diversa risonanza nella storia dell’umanità, considerando l’intelligenza sotto il profilo puramente meccanico, a me viene spontaneo confrontare Shirley Temple con Einstein e Newton, e proverò a dimostrarlo. Per quanto riguarda invece il cancro al seno, sono il primo ad applaudire le donne coraggiose che hanno seguito l’esempio di Shirley Temple, ma i tempi sono cambiati: il complesso di studi epidemiologici, effettuati cioè non solo in laboratorio ma su intere popolazioni, che vanno sotto il titolo di “China Study”, hanno dimostrato che gli agenti cancerogeni attecchiscono nell’essere umano solo quando vengono fagocitati da una proteina di origine animale. L’alimentazione vegana, e cioè di natura puramente ed esclusivamente vegetale, non è una scelta voluttuaria, ma un diktat sancito dall’assenso e dal consenso delle maggiori Università di questo mondo: Harward, Stanford, Cornell, MIT, Oxford…per non parlare dell’incalcolabile ausilio fornito dal governo cinese. Tradizionalmente ho sempre raccomandato: “Regalate una copia di China Study al vostro medico”, ma ora il problema è quello di aumentare la massa popolare dei vegani al punto di diventare il massimo oggetto di desiderio da parte della lobby capitalistica mondiale. (Segue)