Rubinstein Prize: Fazioli’s Victory

Di Marino Mariani

Arthur Rubinstein; Praga 1914

Arthur Rubinstein; Praga 1914

Idith  Zvi. direttore artistico della manifestazione

Idith Zvi. direttore artistico della manifestazione

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Tra il giorno 13 ed il giorno 29 dello scorso mese di maggio 2014 si è svolta a Tel Aviv la 14ma edizione dell’“Arthur Rubinstein International Piano Master Competition”, manifestazione che quest’anno festeggia anche il 40mo anniversario dalla sua fondazione, avvenuta nel 1974 ad opera di Jan Jacob Bistritzky. Idith Zvi, direttore artistico dell’Arthur Rubinstein International Music Society, ricorda che a quel tempo il loro concorso era uno delle rare competizioni internazionali esistenti, che ora, invece, spuntano da ogni parte. “Tuttavia – dice la Zvi – noi siamo fermamente convinti che la Rubinstein Competition sia riuscita a mantenere nel tempo il suo carattere, il suo fascino e il suo stile. Ci sono i numeri a testimonianza di questi 40 anni: abbiamo organizzato 13 edizioni, abbiamo accolto un totale di 600 concorrenti ed abbiamo premiato 43 pianisti. Abbiamo contato su 180 giurati famosi nel mondo ed abbiamo distribuito premi per oltre mezzo milione di dollari. Centinaia di volontari entusiasti hanno collaborato con noi, e nel pubblico molti fedelissimi hanno assistito a tutte le fasi di tutte le edizioni. I nostri vincitori hanno fatto mirabolanti carriere, alcuni sono diventati famosi nel mondo, hanno tenuto viva la fiamma dell’eredità musicale di Arthur Rubinstein ed hanno tenuto alto il livello raggiunto da Israele in quest’arte…”. I fenomeni casuali avvengono raggruppati nel tempo: avevo iniziato a scrivere un articolo sull’influenza che il passaggio dall’analogico al digitale ha avuto non soltanto nel campo dell’ascolto, ma anche nel campo dell’interpretazione musicale. Contemporaneamente su Internet è apparso prezioso materiale su Leonardo Colafelice, il giovane pianista di Altamura che cominciava a vincere un po’ troppi concorsi internazionali per passare inosservato. E nello stesso momento cominciavano ad apparire tonnellate e tonnellate di materiale relativo alla Rubinstein Competition, e lì per lì ho pensato che Colafelice avesse vinto anche a Tel Aviv. Ciò perché nel materiale relativo a Tel Aviv erano mescolate anche notizie relative alla Aarhus Competition, che però si era svolta precedentemente, e che, in effetti, Colafelice aveva vinto. Nel breve volgere di un paio di settimane, su Internet era comparso materiale di prima scelta che rispondeva pienamente a tutti i miei interrogativi ed ammontante a molte, molte, anzi moltissime ore di registrazioni in piena hi-fi acustica ed alta definizione (HD) televisiva a colori. Questo materiale è stato messo in linea con comprensibile precipitazione, e questa fretta ha fatto sì che in molti casi la sincronizzazione tra audio e video lasciasse a desiderare, senza peraltro inficiare la piena validità dell’informazione. Facendo un bilancio, va subito detto che ogni difetto è stato ampiamente compensato dalla sovrabbondanza del materiale fornito. Di fronte al desiderio di pubblicare immediatamente qualche articolo “in anteprima mondiale” ha prevalso la voce della ragione, quella di esaminare “tutto” il materiale resosi disponibile e di capire, una volta per tutte, quali sono i meccanismi e le convenzioni che regolano lo svolgimento di un concorso internazionale.

Regolamento
Spesso mi è capitato di irridere ai risultati di un grosso concorso internazionale in cui il vincitore ha eseguito un concerto di Mozart, di quelli che anche le bambine di 8 anni eseguono in maniera impeccabile,

Il logo del concorso

Il logo del concorso

mentre non viene mai festeggiato un vincitore che per vincere abbia dovuto eseguire uno dei due concerti per pianoforte ed orchestra di Brahms. È tutta questione di regolamenti e di completezza dell’informazione. In genere, l’esecuzione di un concerto di Mozart è obbligatoria, ma non unica e definitiva: c’è anche l’esecuzione di un altro concerto, di quelli cosiddetti “romantici”, tra i quali si trova Brahms, ma anche Prokofiev, Rachmaninov, Bartok…che io considero meno indicativi, ma che in genere sono preferiti dai concorrenti (se non addirittura dalle giurie). Se si vuole giudicare un concorso internazionale, bisogna assolutamente conoscere a fondo le regole e il repertorio. Il concorso che ora esamineremo analiticamente è, dunque, quello della 14ma edizione dell’Arthur Rubinstein Piano Competition, aperto a tutti i concorrenti d’età compresa tra 18 e 32 anni che non risultino essere stati, in epoca recente, allievi di alcun membro della giuria. Il concorso si articola in tre stadi, ciascuno denominato “Stage”. Lo “Stage I” è aperto a tutti i concorrenti, che dovranno esibirsi in un repertorio libero ma comprendente, obbligatoriamente, un’opera classica ed una romantica. La durata totale dell’esibizione sarà compresa tra 40 e 50 minuti. L’esecuzione avverrà a memoria. Qualunque sia il numero dei candidati iscritti, lo scopo dello Stage 1è quello di selezionarne 16 che saranno ammessi alle fasi successive. Nel caso attuale, i candidati erano 36, quindi, dopo la prima audizione, ne sono stai eliminati 20. È interessante notare che dei 36 candidati, nessuno viene dai seguenti paesi culturalmente rilevanti: Francia, Germania, Austria, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia…La sola presenza europea propriamente detta, è quella dell’Italia (2), Romania, Lettonia, Repubblica Ceca, Polonia e Israele. Quella che un tempo era l’URSS, è ora rappresentata da: Russia (9), Ucraina (2) e Georgia. Sotto la bandiera americana, USA (5), si distinguono cinque diverse etnie: Ucraina, Giappone, China, Sud Corea e Taiwan, nessuna delle quali è anglo-sassone o latino-americana. Rimane da conteggiare l’Asia, che presenta le seguenti cifre: China (4), Sud Corea (4) e Giappone (4). Che conclusioni possiamo trarre? Nessuna, vi prego, nessuna: il festival di Tel Aviv è una manifestazione elitaria che si svolge ogni tre anni e che coinvolge una frazione infinitesimale della popolazione mondiale, che tendenze può determinare? Quello che può determinare è il fatto di essere nella tendenza, e sottolinearne le linee di forza che hanno sorgente virtuale nel cuore dell’Europa e s’irradiano a raggiera nel resto del mondo. La Russia conferma di essere ancora quello che è sempre stata: forse il massimo dei magneti musicali mondiali. Verso la fine del ‘700 l’imperatore Joseph II rimproverava la prolissità delle “Nozze di Figaro”: “Troppe note, signor Mozart”, però andava in brodo di giuggiole per “Una cosa rara”, un’opera italiana composta da Martin y Soler su libretto dello stesso librettista di Mozart, cioè Lorenzo Da Ponte, e di durata ancora maggiore delle Nozze.  Dopo l’esecuzione in teatro, l’imperatore invitò

Maria Mazo, Russia, decisiva per la Fazioli's Victory

Maria Mazo, Russia, decisiva per la Fazioli’s Victory

tutta la compagnia alla reggia, e dopo il banchetto si fece ripetere per intero l’esecuzione dell’opera. In realtà l’imperatore voleva sbarazzarsi di Mozart e cercava di strappare Domenico Cimarosa dalle grinfie di Caterina di Russia! Cent’anni dopo lo zar Alessandro II invitò Giuseppe Verdi ad un principesco soggiorno a Sanpietroburgo per la composizione dell’opera “La forza del destino”. Il soggiorno fu così confortevole, che Verdi poté dichiarare: “In Russia il freddo si vede ma non si sente”. Per sicurezza Verdi aveva incluso nel suo bagaglio al seguito anche ottanta bottiglie di Barolo. Come si vede la tradizione musicale russa ha robuste radici storiche, e se poi si pensa che Tchaikovsky, a cinque anni (cioè nel 1845) prese le sue prime lezioni di musica dalla schiava Marja Markovna Palcikova, si vede anche che l’istruzione musicale era distribuita in tutti gli strati sociali, fino all’infimo grado, e non rimaneva confinata nei palazzi e nei teatri imperiali. L’altro polo d’attrazione mondiale, complessivamente prevalente, e di molto, è costituito dagli USA, che storicamente, hanno sempre rappresentato il maggior mercato per ogni tipo di arte, mestiere e…delinquenza. Fino ai nostri giorni, aver successo nella vita, significava aver successo in America. Ai miei tempi esisteva una rivista aereonautica svizzera, chiamata Interavia, che veniva pubblicata in sei lingue che, pertanto, costituiva una rivista poliglotta ma non internazionale. Una rivista che veramente ambisse al titolo di “Rivista Internazionale”, andava pubblicata in una sola lingua, quella inglese. Ebbene, nonostante che il mondo stia cambiando, gli USA rimangono in testa come polo d’attrazione, in virtù delle sue scuole: la Juilliard, la Curtis…Anche il vincitore della scorsa edizione del Rubinstein, il russo Daniil Trifonov, proveniva dal Cleveland Institute of Music E pensare che, prima della fondazione della Juilliard School of Music di New York, avvenuta nel 1905 ad opera di un ricco industriale tessile, gli studenti americani venivano a studiare musica in Europa! E con ciò abbiamo terminato la descrizione dello Stage I. Allo Stage II accederanno i 16 candidati selezionati nella prova precedente, che avranno a disposizione, per la loro esibizione, un tempo compreso tra 50 e 60 minuti, maggiore di quello precedentemente concesso, in cui, oltre ad un’opera classica e ad una romantica, dovranno obbligatoriamente eseguire, a loro scelta, una tra le due opere che la commissione ha commissionato ad autori israeliani, che sono: Ella Milch-Sheriff “Reflections on Love” e Benjamin Yesupov “Subconscious Labyrinths”. Nel corso di questo Stage II verranno selezionati i 6 finalisti, il che significa che altri 10 candidati saranno eliminati. Esaminando il programma proposto da tutti e 36 i candidati iniziali, si vede che ben cinque di essi, come prova finale, avevano optato per il concerto numero 1 di Brahms. Essi erano tre ragazze e due giovanotti, tra i quali l’italiano Emanuel Rimoldi, ma tutti e cinque sono stati eliminati nel corso di Stage I e Stage II.

Le finali
Stage I e Stage II hanno portato all’eliminazione di 30 dei 36 candidati iniziali. Non è assolutamente consentito dire che questa fase iniziale sia servita a sfoltire la competizione dai concorrenti più deboli. Tutti avevano partecipato a concorsi internazionali di buona o addirittura massima caratura e, tra tutti i nomi che sono andato a controllare, con i relativi curriculum, tutti avevano vinto, almeno una volta, un primo premio. La Rubinstein Competition non è un concorso per principianti. Ma non privo di

Maria Mazo nel quartetto per piano ed archi di Mozart

Maria Mazo nel quartetto per piano ed archi di Mozart

trappole in cui cadere come allocchi. La fase finale, aperta ai sei finalisti, si articola su tre prove denominate, rispettivamente, come Finale A, Finale B e Finale C. Nella Finale A il concorrente deve suonare un pezzo di musica da camera insieme ad un complesso d’archi in un modo da costituire quello che, con denominazione tedesca, viene designato come un “Piano Quartett”, sottintendendo in italiano: quartetto d’archi con pianoforte, o meglio: Quartetto per pianoforte ed archi. Ma in questa edizione, nella Finale A, era data la facoltà di associarsi anche ad un complesso a fiati ed eseguire un quintetto di Beethoven o di Mozart per piano e strumenti a fiato in alternativa ai quartetti per piano ed archi di Mozart, Brahms e Schumann. Orbene, l’ascolto di un quintetto per piano e fiati può essere un vero e proprio godimento musicale, ma il Rubinstein è una gara di bravura, e doversi portare appresso quattro strumenti lenti ed impacciati come l’oboe, il clarinetto, il corno ed il fagotto non consente al pianista di lanciarsi in volate brucianti, a rischio di perdersi per strada qualche componente del gruppo. Pianisti trascendentali come Mozart e Beethoven non scriveranno mai la loro partitura trascendentale per un pianista da quintetto a fiati. Per un pianista da quintetto a fiati scriveranno una partitura da circolo per anziani o da raduno di vecchie glorie. Dei sei finalisti solo Leonardo Colafelice ha scelto il quintetto a fiati di Beethoven, e secondo me questa scelta gli è costata l’esclusione dal podio dei vincitori. Comunque le prove per i finalisti, dopo la finale A, quella con un complesso da camera, proseguono con la finale B: un concerto classico per pianoforte e orchestra, e la finale C, quella di un concerto romantico. Per concerto classico s’intende uno fra i concerti di Mozart dal numero 20 al numero 27, più i primi due concerti di Beethoven, e cioè il numero 1 e il numero 2, che a ragione possono essere considerati come se fossero il 28 e il 29 di Mozart. Ed a proposito dei concerti di Mozart, essi sono quelli commissionati dalle Accademie Viennesi dei Concerti in Abbonamento, che in realtà costituivano un’impresa della famiglia Mozart, che provvedeva all’organizzazione, alla presentazione del programma, ed all’esecuzione affidata all’eterno bambino prodigio Wolfgang Amadè.  L’iniziativa ebbe gran successo, Wolfgang componeva anche tre o quattro concerti ogni anno, e la famiglia intascava, per ogni biglietto venduto, “sette ducati in contanti”. Finché il bel giocò finì: gli incassi non coprivano più le spese. Chi ha letto qualche accreditata biografia di Mozart, avrà notato che il padre, Leopoldo era troppo ambizioso. Maestro di cappella di valore musicale infinitesimale, amava atteggiarsi a molto di più, sfoggiava marsine di lusso e cercava di mescolarsi con la nobiltà, che non si lasciava incantare e che seguitava a considerarlo come facente parte della servitù. Qualche tratto di questo tipo il padre trasmise al figlio, il quale, a corte, si creò una folta schiera di nemici. Comunque si tratta di una serie di concerti d’idilliaca bellezza, e non deve stupire il fatto che io li consideri concerti per bambine di otto anni. Prima di tutto per il fatto che esistono e si trovano su internet bambine che eseguono impeccabilmente questi concerti. E poi per il fatto che la famiglia Mozart ci teneva a far credere che questi concerti erano stati composti da colui che ho chiamato l’eterno bambino prodigio. Spostate di qualche gradino l’età di otto anni e la regola verrà confermata senza eccezioni.

Fazioli’s Victory
Avendo eseguito il concerto classico previsto nella finale B, ai sei finalisti non rimaneva che affrontare la prova finale, la finale C, che prevede l’esecuzione di un concerto romantico, da scegliersi tra i seguenti:

Beethoven: concerti n.: 3, 4, 5
Chopin: concerti n.: 1,2
Schumann: concerto in La minore
Liszt: concerti n.: 1, 2
Brahms: concerti n.: 1, 2
Tchaikovsky: concerto n.: 1
Grieg: concerto in La minore
Rachmaninov: concerti n.: 2, 3
Ravel: concerto in Sol maggiore
Bartòk: concerti n.: 2, 3
Prokofiev: concerti n.: 2, 3

Cho Seong-Jin: il suo concerto classico viene acusticamente sovrastato dalla Mazo

Cho Seong-Jin: il suo concerto classico viene acusticamente sovrastato dalla Mazo

A questo punto avviene il colpo di scena: a seguito dell’ascolto del concerto classico, quattro finalisti (Antonii Barysheckyi, Lin Steven, Cho Seing Jin e Colafelice Leonardo) decidono di eseguire la prova finale su un pianoforte Fazioli. La pianista Maria Mazo, sin dalle prove iniziali, già aveva adottato il pianoforte Fazioli. Il concorrente Osokins Andrejs, che suonava su pianoforte Steinway, mantiene la sua scelta iniziale. Per andare avanti più speditamente, sarà bene fare subito la lista dei vincitori con l’ammontare dei premi vinti sotto varie motivazioni. Tra parentesi riportiamo anche l’ammontare degli stessi premi nella precedente edizione del 2011.

1° premio: Antonii Baryshevkyi, Ukraina – 40.000$ (25.000$)
2° premio: Lin Steven, USA – 20.000$ (15.000$)
3° premio: Cho Seong Jin, South Korea – 15.000$ (10.000$)

Finalisti

Leonardo Colafelice, Italia:
6.000$ come finalista (3.000$)
5.000$ come migliore esecuzione d’un concerto classico (-)
3.000$ come migliore esecuzione d’un brano di Chopin (-)
3.000$ borsa di studio triennale al miglior giovane sotto i 22 anni

Maria Mazo, Russia:
6.000$  come finalista (3.000$)
3.000$ come concorrente favorita dal pubblico

Osokins Andrejs, Lettonia:
6.000$ come finalista (3.000$)
3.000$ come migliore esecuzione di musica da camera, ex aequo

La giuria ha inoltre assegnato altri premi e rimborsi, che non alterano la nostra classifica ufficiosa. Non rimane che dar inizio ai commenti sui risultati complessivi di questa 14ma edizione della Rubinstein Competition. Ovviamente, la notizia che ha destato maggior sensazione e che è stata maggiormente ripresa dai giornali e dai siti web è quella della scelta in massa del pianoforte Fazioli da parte di cinque finalisti su sei, comprendendo Maria Mazo che il Fazioli l’aveva adottato sin dall’inizio. In effetti, dei 36 candidati iniziali, 5 avevano chiesto di suonare sul pianoforte italiano messo a disposizione della casa di Sacile e selezionato da Daniil Trifonov, vincitore dell’edizione precedente. I cinque concorrenti Fazioli sono: Welyin Chen, nata a Taiwan ma naturalizzata USA; Jae-Weonn Huh, Corea del Sud; Ji-Yong Kim, Coreadel Sud; Rachel Naomi Kudo, registrata come USA/Japan; Maria Mazo, Russia. Due di loro sono stati eliminati nello Stage 1, altri due nel corso di Stage 2, mentre Maria Mazo  è stata selezionata tra i sei finalisti. La totalità dei commenti e dei comunicati di giornali e

Ran Dank: contende alla Mazo il primato della Hammerklavier

Ran Dank: contende alla Mazo il primato della Hammerklavier

siti Web afferma che dopo l’esecuzione del concerto classico da parte della Mazo su Fazioli, altri quattro dei suoi cinque compagni di ventura hanno chiesto di concludere la loro prova sul pianoforte Fazioli. Io non credo, e nessuno crede, che la giuria sia rimasta influenzata dal suono del Fazioli, ma indubbiamente i pianisti hanno deliberato che il suono del Fazioli, per potenza e qualità, meglio si poteva imporre sull’orchestra, invece che essere sovrastato da quella. Poiché questo, alla fine, è stato il pianoforte di tutti (cinque su sei), si può dire che, accanto  alla 14ma edizione del Rubinstein Prize, in cui la giuria ha premiato i migliori pianisti, si sia svolto un concorso parallelo, in cui i pianisti finalisti hanno eletto il miglior pianoforte, e fino al quinto posto della classifica ufficiosa, il Fazioli è stato eletto con una maggioranza del 100%. Bella forza, direte voi, non è come scegliere tra Audi, BMW e Volkswagen, ma tra una Rolls-Royce e una Bugatti, o, in campo orologiero, tra un Rolex ed un Breguet. Uno costa il doppio dell’altro, ed anche di più. Per scrupolo ho consultato molti siti che hanno riportato l’avvenimento. Uno, in particolare, che si chiama “Piano world piano forums” e si vanta di avere 2 milioni di adepti, ha trattato a fondo l’argomento, e se si vuole leggere l’articolo che ci interessa, bisogna digitare: “Fazioli’s victory at the Rubinstein Competition”. Molti partecipanti al dibattito hanno seguito gli eventi in TV, altri si sono qualificati come tecnici di pianoforti. I pareri sono stati discordi, avendo molti dichiarato di preferire il suono dello Steinway teletrasmesso. Altri hanno dichiarato di aver ascoltato l’evento con un impianto high fidelty. Ovviamente, come giudizio finale espresso dai redattori del sito, vale il titolo scelto per la pubblicazione: “Fazioli’s victory…” Io, per mio conto, ho raccolto tutto il materiale a mano a mano che giungeva da internet, l’ho visionato in HD sullo schermo da 27” del mio Mac ed ascoltato con una cuffia Sony “Digital” comprata a Zurigo una ventina d’anni fa per più di 300 franchi,  che mi consente di ascoltare a tutto volume anche alle 3 di notte, con una risposta in frequenza indipendente dall’acustica dell’ambiente. È una sorta di “personal hearing” che mi consente di analizzare il suono “dall’interno” della sua fonte, molto più in profondità che non seduto in poltrona e opportunamente distanziato dalle casse acustiche. Non avendo necessità di potenza acustica, non ho necessità di amplificazione intermedia, ed il suono mi giunge direttamente dal disco rigido del Mac. Ebbene, posso dire che il suono del pianoforte Steinway (e dell’orchestra) è stato rilevato talmente bene dai tecnici di ripresa da risultare “perfetto” come qualità hi-fi, e che la percettibile superiorità del suono Fazioli come ampiezza, dettaglio e aura, non è risultata devastante. Decisivo nel determinare la vittoria del pianoforte italiano, è stato l’esito dell’ascolto, da parte dei finalisti, dell’esecuzione del concerto n. 21 di Mozart da parte di Maria Mazo su Fazioli, che hanno giudicata acusticamente superiore all’esecuzione dello stesso concerto da parte di Cho Seong Jin, il finalista sudcoreano che suonava sullo Steinway. In quel luogo e in quel momento tutti i finalisti meno uno hanno deciso di affrontare l’ultima prova con il Fazioli, classificandosi poi nei primi cinque posti. Che altro argomentare?

Maria Mazo
Oramai sono passati mesi interi dallo svolgimento della competizione, ed il materiale a disposizione del pubblico, su internet, è diventato addirittura sovrabbondante: sono disponibili le esecuzioni integrali dello Stage I di tutti e 36 i candidati, per oltre 30 ore complessive di registrazione in qualità hi-fi assoluta. Se digitate sul vostro computer una frase del tipo: “Rubinstein Competition 2014”otterrete un nugolo di risposte. Appena trovate la parola “Competitors”, fate click e vi apparirà  una pagina


con le 36 immaginette di tutti i candidati. Per ognuno di essi, facendo l’opportuno click, appare un breve biografia e tutto (dicesi TUTTO) il programma effettivamente svolto durante la competizione, nonché tutto il programma annunciato all’atto dell’iscrizione. Questo significa, all’incirca, 5 ore di registrazione per ognuno dei sei candidati che hanno superato tutte e cinque le prove in programma (Stage I, Stage II, Finale A, Finale B e finale C); quasi un’ora ciascuno ai 16 candidati che hanno affrontato lo Stage II e quasi un’ora ciascuno ai 36 candidati che hanno affrontato lo Stage I. Mi sbaglio o il gran totale supera le 70 ore di registrazione? Per galanteria la nostra rassegna, che si articolerà su diverse puntate, inizierà con Maria Mazo, la ragazza russa che merita religioso rispetto in virtù del portamento conventuale e delle gambe lunghe come una Quaresima. In realtà è un personaggio chiave di questa Competition perché, di fatto, la sua esecuzione del concerto di Mozart in finale B ha determinato la corsa al Fazioli di altri quattro concorrenti alla finale C. Io credo che, nel complesso, sia stata leggermente sopravvalutata. Se ciò fosse vero, comunque meglio lei che qualcun altro. Pubblichiamo più che volentieri, e praticamente senza alcun commento, la sua finale A con Sergey Ostrovsky (violino), Gilad Karmi (viola) e Zvi Plesser (violoncello) nell’esecuzione del quartetto per pianoforte ed archi in Sol Minore K. 478 di Mozart; la sua finale B con l’esecuzione del concerto n. 21 in Do Maggiore K. 467, e la sua finale C con l’esecuzione del concerto n.4 di Beethoven. Tutti saranno contenti di includere nella propria collezione tanta bella musica suonata sul Fazioli. Saranno lieti anche dell’inclusione del suo Stage II che comprende la Suite dell’Uccello di Fuoco di Stravinsky nella mirabolante trascrizione di Guido Agosti, il pianista forlivese che fu allievo di Busoni, e la sonata op. 106 di Beethoven, detta “Hammerklavier” (pianoforte a martelli), dedicata ad un personaggio di grande riguardo, l’arciduca Rodolfo. Quando costui sarà eletto Cardinale, Beethoven gli dedicherà la Missa Solemnis. Di fronte all’arciduca Beethoven, si sente, si capisce, voleva fare una grandissima figura, e quindi dà alla 106 struttura e dimensioni monumentali. Ma non è solo sfoggio. Beethoven prende il futuro cardinale, se non come suo confessore, almeno come un compagno confidente con cui si fanno quelle considerazioni sul significato della vita, che prima uno teneva tenute racchiuse entro di sé, e che verranno ulteriormente espresse nella successiva sonata op. 110. Al contrario delle sonate precedenti, in cui si produceva e si esauriva in una perorazione amorosa a caccia di contessine e gentildonne che tanto l’ammiravano come artista, quanto lo rifuggivano come il brutto anatroccolo. Qui Beethoven introduce la riflessione, la reminiscenza, il sogno irrealizzabile, la rêverie, la Träumerei, la fantasticheria sognante, stupefatta ed elegiaca che saranno la ragion d’essere di Schumann, di Mendelssohn, di Schubert…In questa sonata Beethoven non chiude mai le frasi, i periodi con un punto fermo, con una serie cadenzante, ma lascia sempre l’uscio aperto, sembra correre alla finestra, alzare la tendina, tornare al manoscritto ed iniziare la descrizione di nuovi orizzonti, spostare la tonalità, cangiare senza preavviso un fff con un ppp. Questa sonata offre continue vie di fuga in un empito di ricerca e in un turbinio di domande senza risposta, o di suggestive risposte senza domanda, che verrà sviluppato da Beethoven nei successivi ultimi quartetti d’archi. Maria Mazo è la compunta echeggiatrice di questo poema, e ne traccia un chiaroscuro ripassato allo sfumino. Ogni aspetto della sua esecuzione potrebbe essere lodato con un termine superlativo, però…

La “Hammerklavier” della vita
Il suo suono è regale, regale è la visione, ma ella è un po’ troppo incalzante, non conosce l’indugio e l’abbandono, non lavora sul silenzio che è pur sempre il trampolino per lo scoppio passionale e quindi la dinamica emotiva non viene sfruttata per intero. Dico che si mantiene troppo uguale e poco contrastata, ricca nella zona dei grigi, assente nel bianco e nel nero assoluti. Ma nello stesso girone dello Stage II, tra i 16 concorrenti che avevano superato lo Stage I, c’era un altro pianista  che aveva l’Hammerklavier in programma, e cioè l’israeliano Ran Dank, che la presenta dopo tre mazurche e la grande polacca  brillante, quella con le quartine di ottave. Si sente che è preparatissimo. Ha 32 anni e porta una fede nuziale sull’anulare sinistro. Probabilmente la moglie è in sala, lo applaude e spera in un buon esito. Per limiti di età, questa è l’ultima occasione di Ran Dank di ottenere un successo al Rubinstein, che sarebbe estremamente utile al suo curriculum. Anche Maria Mazo, con i suoi 31 anni, è ai limiti d’età. Gli altri possono ritentare, loro due no. Entrambi, come d’altr’onde tutti gli altri concorrenti del Rubinstein, non hanno problemi di tecnica, ne conoscono tutti i segreti, e la usano a propria discrezione. Lei si contiene, sa di essere la beniamina del pubblico, e come tale si fa premiare. Lui, invece, è un irruento, un desperado che spinge fino al limite ed oltre. Nella sua folta capigliatura è scavato come un pozzetto largo come una moneta, nel punto della chierica, che fa pensare ad un’osservanza religiosa. Durante l’esecuzione, il suo volto è scavato e contorto dall’emozione, dalla commozione e dalla sofferenza, come quello del miglior Pollini. La sua dinamica non si estende esclusivamente nel dominio dei grigi, ma si addentra nel nero profondo e balza sovente nel bianco accecante. La sua dinamica trascende quella di Maria, il suo quadro è più colorato e luminoso, ricco di contrasti. Conosce l’indugio e l’abbandono, è passionale e irresistibile. Ed ambizioso: vuol dimostrare di essere il maggior interprete vivente della Hammerklavier. I commenti lasciati dagli spettatori su internet sono a suo strafavore. E la vittoria va a Maria Mazo.

Mieczyslav Horszowsky, il piccolo "pianista del papa"

Mieczyslav Horszowsky, il piccolo “pianista del papa”

La vera “Hammerklavier”
E così, almeno da come l’ho raccontata io, la vittoria, inaspettatamente, è stata strappata dalla mani di Ran Dank che già l’artigliavano. Una palese ingiustizia da parte della giuria? Non si può dire. Oltre alla Hammerklavier, lui presentava brani non decisivi di Chopin, mentre lei era stata addirittura fulminante nella trascrizione di Guido Agosti dell’Uccello di Fuoco di Stravinsky. Ho detto, e fino ad un minuto fa ne era convinto, che l’adozione del pianoforte Fazioli non aveva esercitato nessuna influenza sulla giuria, ma forse sbagliavo. Quando ho sentito per la prima volta l’Uccello di Fuoco di Maria Mazo, ero distratto e lì per lì pensavo che stesse eseguendo un pezzo per pianoforte e orchestra. Quando mi resi conto che l’orchestra non c’era, sono precipitosamente tornato all’inizio, a quell’accordo termonucleare che tiene una mano all’estremo inferiore, e l’altra all’estremo superiore della tastiera, e poi ho ascoltato e riascoltato il brano che, tra l’altro, amavo assai quando lo ascoltavo diretto da Ernest Ansermet, di professione matematico e musicista, alla testa dell’orchestra della Suisse Romande. Sebbene io seguiti a sostenere che, in questa Rubinstein Competition, la migliore sonata Hammerklavier fosse quella di Ran Dank, si tratta comunque di vicende che, col passare del tempo si stingono, svaniscono e si stemperano nell’oblio. Però, facendo ripetutamente il confronto tra le esecuzioni di lui e di lei, mi sono sorpreso a rilevare che io giudicavo entrambi i pianisti come se sapessi con assoluta precisione quale dovesse essere l’esecuzione giusta, vera, quella voluta da Beethoven. Ed in effetti, lo sapevo, anche se non sapevo di saperlo: una sessantina di anni fa, penso nel 1953, in attesa che la mia fidanzata svizzera mi venisse a trovare a Roma per Pasqua, avevo allestito un impianto basato su un moderno giradischi capace di suonare i recenti LP microsolco, e per inaugurarlo insieme a lei acquistai la sonata Hammerklavier  suonata da Mieczyslaw Horszowsky, un pianista polacco nato a Leopoli, una città che ai suoi tempi faceva parte dell’impero austro-ungarico e che attualmente fa parte dell’Ukraina. Era di origini ebraiche, ma poi si convertì e fu battezzato cattolico, senza che rinnegasse la sua antica religione. In Italia, dove visse una ventina d’anni fino al 1940, anno in cui si rifugiò in America, era conosciuto come “il pianista del papa”, anche se di papi, nel corso della sua vita ultracentenaria (dal 1892 al 1993), dall’iniziale Pio X in poi, ne vide sfilare parecchi. Tutti i papi elessero Miecio loro beniamino, e Miecio li ricambiò con fedele devozione. Miecio, più che un essere umano, era un graziosa miniatura. Da giovanetto, era bello quanto una bella bambina. Piccolo di statura, aveva una grazia che lo accompagnò fino al centunesimo anno della sua vita. Aveva mani piccoline, e saggiamente evitò di cimentarsi in brani in cui avrebbe incontrato difficoltà, e altrettanto saggiamente lasciò a Wladimir Horowitz e ad Arthur Rubinstein il compito di disputarsi il ruolo dei maggiori pianisti dell’epoca. Ma lui suonava meglio di loro e di qualsiasi altro pianista, e le sue interpretazioni davano l’immediata impressione di indiscutibile verità. Ciò valeva per qualsiasi autore, da Beethoven a Debussy, da Chopin a Stravinsky…Se vogliamo sapere come Beethoven voleva che si suonasse la Hammerklavier, basta ascoltare come la suonava Miecio Horszowsky, cosa che io ho fatto per primo, e chiunque può fare adesso stesso: miracolosamente, su youtube, esiste quell’esecuzione degli anni cinquanta, la “mia” esecuzione, ma elettronicamente ripulita, lavata, stirata e privata di ogni disturbo. Acusticamente infinitamente migliore di come l’ascoltavo io sul mio trabiccolo autocostruito. E divisa in tre parti di 18 minuti ciascuna, segno che il riversamento su youtube fu fatto quando ancora vigevano limitazioni sulla durata dei brani gratuitamente offerti al pubblico di tutto il mondo. A 89 anni Miecio sposò la pianista italiana Bice Costa, e su internet troverete anche i video di come suonava a cent’anni: rigoroso e ben assettato (segue).