Gonne al Vento

Di Marino Mariani

Parata delle donne soldato cinesi a piazza Tienanmen

Parata delle donne soldato cinesi a piazza Tienanmen

Allieva Ufficiale dell'esercito cinese

Allieva Ufficiale dell’esercito cinese

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Lo scorso 2 giugno non avevo l’intenzione di guardare in TV la parata militare in onore della festa della Repubblica. Però, accendendo il televisore, mi ci sono trovato nel bel mezzo e non ho potuto fare a meno di guardarmela tutta, con un profondo senso di tristezza, di rammarico e di nostalgia. Nel 1940, cioè la bellezza di 74 anni fa, entrai nel Regio Liceo Ginnasio Giulio Cesare e mi ritrovai automaticamente iscritto alla GIL (Gioventù Italiana del Littorio) nel ruolo di Balilla Moschettiere. La GIL era un’organizzazione di recente istituzione, frutto della naturale evoluzione verso l’assolutismo fascista di un’altra organizzazione giovanile che, in un certo senso, potremmo chiamare “democratica”, pur essendo stata istituita dopo la presa di potere del fascismo, ma comunque sancita da una votazione parlamentare del 1926: l’Opera Nazionale Balilla (ONB), ma già nel 1919, e cioè tre anni prima dell’avvento del fascismo (28 ottobre 1922), il capo dei futuristi Filippo Tommaso Marinetti aveva auspicato la creazione di “scuole di coraggio fisico e patriottismo”. Mussolini dette l’incarico di studiare tale tipo di scuola a Renato Ricci, il quale si consultò col barone inglese Robert Baden-Powell, fondatore dell’ordine mondiale dei Boy Scouts. Sulla base di questi colloqui Renato Ricci, ex ardito della 1a Guerra Mondiale, costruì l’ordinamento dell’ONB, che entrò in vigore nel 1926 ed ebbe immediato successo: i giovani organizzati, maschi e femmine, si esaltavano nell’appartenenza a quei reparti che percepivano come elitari. Respiravano amor patrio, valore civico e disciplina militare. E quando sfilavano per le vie della città, il pubblico, estasiato, applaudiva. Il Mahatma Gandhi, l’apostolo mondiale della non violenza e del pacifismo, ravvisò nell’ONB un’iniziativa assolutamente pertinente all’opera di rinnovamento della nazione italiana intrapresa dal nuovo regime fascista, e quando nel 1931 si trovava in Europa per partecipare alla Conferenza di Londra in programma di lì a poco, volle passare un paio di giorni a Roma, a cominciare dall’11 dicembre. Il Mahatma era giunto a Milano provenendo dalla Svizzera, e da Milano viaggiò in una carrozza speciale a lui riservata. L’arrivo a Roma fu trionfale, e nel suo soggiorno nella capitale fu sempre circondato da alte autorità e da una folla festante. Di Gandhi Einstein disse: “Forse le future generazioni non potranno credere che un uomo simile sia venuto, in carne ed ossa, in questo mondo”. Al contrario Churchill, fiero colonialista ed assoluto oppositore all’indipendenza indiana, non riconobbe mai le qualità del Mahatma e lo definì “disgusting”. Mussolini e Gandhi, invece, si rispettavano a vicenda, ed il Duce accolse l’apostolo indiano nella sua residenza di villa Torlonia, onore che non aveva mai concesso a nessuno (ma poi, al tempo di Biancaneve, ospitò Walt Disney e signora). A Roma, Gandhi visitò la sede dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, le case popolari della Garbatella, parlò con Mussolini e non fu ricevuto dal papa Pio XI che non volle compromettersi all’occhio di certe grandi potenze. Ma il primo e più fervido incontro il Mahatma lo ebbe con i Balilla che andò a visitare nella sede centrale dell’ONB all’Orto Botanico, e poi nelle altre sedi periferiche. Assisté in entrambe le giornate ai loro saggi, alle loro sfilate, alle loro manifestazioni di sincero e spontaneo affetto, che ricambiò con la sua benedizione. La scena sembrava l’incarnazione dell’evangelica esortazione: “Sinite parvulos venire ad me”. Quando, dunque, entrai nel corpo dei Balilla Moschettieri, mi trovai a far parte di un’organizzazione altamente reputata ed ammirata in sede internazionale. Questo accadeva nel 1940, e nel 1937 l’Opera Nazionale Balilla si era trasformata in Gioventù Italiana del Littorio (GIL), e dalle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione era ora inquadrata nei ranghi del Partito Nazionale Fascista. Non sono assolutamente in grado di valutare la differenza tra i due ordinamenti, so che a quei tempi tutti gli italiani erano fieri del regime, e noi giovinetti eravamo orgogliosi di marciare inquadrati nelle file della GIL. Negli anni precedenti la mia famiglia abitava “in paese”, cioè in quelle cittadine che, pur essendo fuori Roma, facevano parte del Governatorato di Roma e dipendevano dal Campidoglio. Mio padre, essendo funzionario del Governatorato, vene nominato Delegato prima della località di Cesano di Roma. e poi di

Abbraccio tra il Mahatma Gandhi e i Balilla

Abbraccio tra il Mahatma Gandhi e i Balilla

Maccarese-Fregene. In queste località il Partito era pienamente in funzione, in quanto si tenevano adunate, celebrazioni e manifestazioni patriottiche, ma nulla che potesse essere paragonato alle sfilate in via dell’Impero avanti al Duce. In tali occasioni, affluivano nella capitale, da ogni parte d’Italia 40 o 50mila Balilla ed altrettanti Avanguardisti, senza contare le formazioni femminili e tutto il resto delle forze armate e delle folte rappresentanze delle truppe coloniali. In quei giorni Roma risonava del suono di infinite bande militari, nel cielo rombavano gli aeroplani, nei corsi e nei viali sfilavano gruppi folkloristici e, tra gli applausi, apparivano gruppi di Ascari e di Dubat, e negli spiazzi maggiori si scatenavano i cavalieri Arabi in quei loro caroselli che venivano chiamati “Fantasie”. Noi Balilla imparavamo a marciare con passo cadenzato in grosse formazioni, sul modello delle quadrate coorti romane, ciascuna di mille legionari. Io porto nella mia memoria il ricordo di essere stato inquadrato in una formazione di 33×33, ma non ne ho trovato conferma. I documentari reperibili su Internet mostrano sfilate su file di 18, e via dell’Impero (attualmente via dei Fori Imperiali) sembrava incapace di contenere reparti più numerosi, ed allora è probabile che in formazione di coorti da mille, da fermi, venivamo schierati in piazza Venezia, attendendo ad un discorso di Mussolini. Comunque ricordo l’euforia delle marce. Avevamo ottimi istruttori, che ci insegnavano tutti i segreti del mestiere per mantenerci allineati e coperti ed ottenere il massimo fragore dai nostri scarponi muniti di chiodi e ramponi e dal colpo sui fianchi con le tasche ripiene di fogli di giornale appallottolati. Marciavamo a passo cadenzato premendo al massimo sui nostri talloni, finché i mille passi si fondevano in un unico colpo metronomico, ed allora il nostro reparto entrava in risonanza come treni d’onda in concordanza di fase. La molla di questo processo moltiplicativo era l’entusiasmo. Le sfilate del 2 giugno offrono invece la periodica reiterazione di un rito celebrato con rispetto ma senza l’entusiasmo. Si celebra un evento conseguente ad una sconfitta chiamata vittoria. I reparti sfilano in fila di sei, al massimo, ed eccezionalmente di nove. I giornali fanno il conto dei soldi sperperati. Ogni anno si tagliano le spese e la parata somiglia sempre più all’esibizione di un certificato di povertà. Non solo finanziaria.

La parata delle ragazze cinesi
Volendo meglio documentarmi sulla parata del 2 giugno, ho sfogliato le pagine d’internet e, del tutto impreparato, sono capitato sulle parate militari in piazza Tienanmen in onore del 60mo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. Non mi sarei soffermato se non avessi visto sfilare a passo di parata formazioni femminili in quindici file di venticinque ragazze ciascuna! Non sono il massimo esperto mondiale in tema di parate militari, ma nel corso della mia vita ne ho viste di tutti i colori, e di formazioni femminili ricordo solo quelle delle Piccole Italiane, che erano l’equivalente di noi Balilla, delle Giovani Italiane e delle Giovani Fasciste, equivalenti agli Avanguardisti e simili. E, dulcis in fundo, ricordo le applauditissime sfilate delle Accademiste di Orvieto, prorompenti ed attraenti sotto ogni punto di vista. Ricordo il senso di ammirazione e di turbamento che ci colpiva quando eravamo chiamati a scortarle e far loro da guardia d’onore durante le esibizioni ginnico-militari che si svolgevano al Foro Mussolini, ora Foro Italico. Ricordo anche quando, alcune decine di anni fa, in Italia si cominciò a parlare di apertura alle donne del servizio militare. Allora Adele Cambria tuonava con i suoi articoli contro il maschilismo che voleva portarsi le donne in caserma per isolarle dalla società e per destinarle a…In seguito il servizio militare si è rivelato come una rispettabile carriera, conveniente allo spirito femminile istintivamente orientato verso i coscienziosi adempimenti, verso l’ordine, verso l’obbedienza e l’amorevole compartecipazione. E così chi aveva buona vista cominciò a distinguere qualche presenza femminile nelle formazioni militari che erano, e rimasero, essenzialmente maschili. Le ragazze inquadrate nell’esercito non erano più le “Signorine Grandi Firme”

Giovami Italianecol fucile mod.91

Giovami Italiane col fucile mod.91

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della canzone del Trio Lescano (…con le gonne sempre al vento…), bensì, con l’ausilio delle tute mimetiche…mimetizzate da soldati maschi! Ebbene, lo shock da me subito quella mattina passata avanti allo schermo del Mac in cerca di documentazioni di carattere militare, fu quello di assistere alla sfilata, sull’immensa piazza Tienanmen, di battaglioni e battaglioni di signorine Grandi Firme con gonna sopra al ginocchio, armate di fucile da battaglia (cioè da combattimento ravvicinato) e di un fascino che non ha bisogno di grandi poeti per essere esaltato. Uno spettacolo da far impallidire e porre in non cale ogni parata del Circo Barnum (con tanto di elefante Jumbo), di corpi di ballo delle Ziegfeld Follies e delle Bluebell, o delle compagnie di spettacoli dei fratelli Schwarz o quelle parigine di Can Can. Ed i colori? Niente di meno militare: il bianco, il rosa, l’azzurro…un trionfo dell’arcobaleno. Un sincronismo da orologio atomico. Una beneaugurante fibrillazione emotiva. Tutti i sintomi…ma che dico: tutte prove provate d’irresistibile vitalità. E così la Cina si scopre dei suoi veli ed il popolo più antico del mondo si rivela il più giovane, l’unico, forse, proiettato verso il futuro. La storia di questa Cina comincia nel 1927, quando il comunismo fu posto al bando nelle città e si rifugiò in semi clandestinità nelle campagne. I fuggiaschi agli ordini di Mao Tse Tung (ora Mao Zedong), si sottraggono per quattro volte all’accerchiamento delle forze nazionaliste guidate da Chiang Kai-shek finché, nel 1934, si sottraggono anche al quinto accerchiamento con la Lunga Marcia di 12 mila chilometri, durata 370 giorni, che li porta dallo Jiangxi allo Shaanxi, e riduce i suoi effettivi da 130mila a soli 20mila uomini. La storia successiva è molto intricata, ma qui basti dire che nel 1949 Mao ottiene la vittoria definitiva ed obbliga Chiang Kai-shek alla fuga nell’isola di Formosa, ora Taiwan. Il governo comunista che si stabilisce in Cina non sembra differire dal regime criminale imposto da Stalin in Russia. Nel 1966 uno strabiliante decreto segna la nascita della cosiddetta Rivoluzione Culturale: dalla sera al mattino un professore università, un direttore di banca, un avvocato, un primario d’ospedale, un qualsiasi impiegato o artigiano, si trova sbalzato dal proprio posto di lavoro e spedito ad una località ignota, distante migliaia di chilometri, priva di ogni traccia di civilizzazione e costretto al lavoro manuale di contadino preistorico. Le notizie che ci giungono dalla Cina sono sempre scarse e di difficile interpretazione. All’inizio non conoscevamo neanche i Giapponesi e credemmo che fossero semplicemente un popolo di imitatori, prima di riconoscergli il ruolo di gran signori delle più moderne tecnologie. Così, adesso, vediamo nei Cinesi i contraffattori dei nostri pelati e delle nostre caciotte. Ma è sempre così, i popoli che si affacciano alla ribalta mondiale sono sempre visti come una minaccia allo status quo. E, in verità lo sono, ma il degrado non può durare all’infinito, e le rovine del presente spesso possono costituire l’humus, il terreno di coltura del futuro, anzi, di un futuro migliore. Se andate a guardare la testata di questa nostra pubblicazione, vedrete che il menù si è arricchito di nuove voci, tra cui la politica, l’ecologia, l’attualità e il… glamour, cioè di quella misteriosa forza d’attrazione che, come la carica elettrica positiva si unisce a quella negativa, questa fa sì che la polarità maschile tenda a quella femminile. E quest’articolo, che avrà un seguito, lo annovereremo in tutte queste categorie, compreso il glamour, auspicando che alla politica del bastone e la carota, alla politica del pugno di ferro in guanto di velluto, alla politica del sorriso, alla politica dei cento fiori e a quella del ping pong, lieta come il ritorno delle rondini in primavera, si aggiunga la politica delle gonne al vento.

In marcia con le gonne al ventp

In marcia con le gonne al vento


La parata dell’1-10-2009 in Piazza Tienanmen


L’allenamento quotidiano delle ragazze soldato